I Maori, Ieri e Oggi

La questione Maori, nonostante rimanga delicata e spesso di difficile interpretazione senza un numero sufficiente di dati alla mano, è molto differente da come la si immagina venendo oggi in visita in Nuova Zelanda, un po’ per l’immagine degli antichi balli haka che tornano in mente grazie agli eventi sportivi trasmessi in occidente, e un po’ per la più, tristemente, famosa situazione del vicino popolo indigeno in Australia.

Grazie in parte al loro isolamento dal resto del mondo, nei secoli che hanno visto la crescita dei Maori in Nuova Zelanda, si è potuto assistere allo sviluppo di una cultura molto particolare, che fonda le sue basi in una mitologia ricca, nel contatto con la natura in ogni parte della vita quotidiana e di una simbologia unica, espressa tramite l’artigianato, le danze e gli ormai popolari tatuaggi che oggi si vedono stampati sulla pelle di persone di ogni razza e colore, in ogni parte del mondo, più per la loro forma che per il messaggio da essi contenuto.

Il significato originale della parola Maori è “ordinario” o “normale”, utilizzato durante il racconto delle leggende tradizionali per distinguere i comuni mortali dagli spiriti e dalle figure mitologiche. Le storie di questo popolo derivano spesso da altri racconti polinesiani e, nonostante la ricchezza in simbologia, la formazione della Terra è descritta in modo molto semplice, dove la Natura, rappresentata tramite una lunga serie di Dei, è sempre il filo conduttore.

Secondo le leggende Maori tutta la creazione ha inizio dal niente più assoluto, in un tempo in cui il vuoto era tutto ciò che c’era. Il Dio del Cielo, Ranginui, e la Dea della Terra, Papatuanuku, uniti a formare questa oscurità, dopo il parto di settanta figli maschi sono costretti da questi, alla ricerca della luce, a separarsi e dar vita alla terra e al cielo. I settanta figli diventano di conseguenza i settanta Dei della religione Maori, ognuno rappresentante uno degli elementi (il vento, il mare, la guerra, etc.), ma è soltanto dopo la procreazione della prima donna, Hine-ahu-one, che la storia ha inizio. A creare la Nuova Zelanda, o Aotearoa, è Maui. Questo semi-dio, in possesso di poteri magici di cui nessuno è a conoscenza, un giorno si nasconde sulla canoa di famiglia per andare a pescare assieme a loro, pur non essendo questo normalmente concesso. Una volta al largo di Hawaiiki, la mitica terra originaria dei Maori, troppo lontano per tornare indietro, decide di mostrarsi unendosi ai suoi fratelli lanciando il suo amo. In breve tempo, qualcosa di molto più pesante di un pesce abbocca e dopo molti sforzi Maui vede apparire in superficie Te Ika a Maui, quella che oggi è conosciuta come l’Isola del Nord.

Spaventato per la reazione degli Dei più forti di fronte a questa scoperta parte così alla ricerca di un accordo, ma durante la sua assenza scoppia una guerra tra i fratelli per il possesso del nuovo territorio. Gli spari finiscono per formare le grandi montagne e vallate che oggi costituiscono questa parte del paese.

Il primo mortale a mettere piede su Aotearoa è Kupe, un pescatore in fuga da Hawaiiki. Dopo aver ucciso l’amante della donna di cui era innamorato, Kura, Kupe sceglie di partire con la sua canoa per sfuggire alla famiglia di Hoturapa, il marito di lei. Finisce per raggiungere un’isola mai vista che viene nominata “la Terra della Grande Nuvola Bianca”. Data la sua grande scoperta decide di tornare trionfante ad Hawaiiki e indicare a tutti come raggiungere questo nuovo paradiso.

Alcuni storici oggi considerano i Maori come l’ultimo grande popolo riuscito a rimanere incontaminato dal resto del mondo fino a tempi recenti, ed è curioso capire come in soli centocinquanta anni questa affermazione abbia perso quasi tutto il suo valore. Nonostante i primi contatti tra europei e Maori, sia con il Capitano Tasman che con il Capitano Cook, siano stati problematici e non privi di battaglie, la convivenza tra queste due etnie, in rispetto alla storia di altre invasioni, è stata relativamente pacifica. Questo però non significa che l’inserimento nella società degli europei non abbia cambiato completamente la struttura sociale e le abitudini dei Maori. L’educazione scolastica occidentale, ad esempio, è stata introdotta per la prima volta soltanto agli inizi dell’800 (le prime trascrizioni della lingua Maori risalgono al 1815), così come l’idea di legge e governo, negli anni quaranta dello stesso secolo, e infine la tecnologia militare che ha portato alla Guerra del Moschetto, in cui diverse tribù si sono combattute fino a portarsi all’estinzione. La popolazione Maori, in parte a causa delle guerre interne durante l’800, in parte a causa delle malattie portate dagli europei con la colonizzazione ha subito un drastico calo negli anni. Oggi meno del 15% della popolazione neozelandese è di origine Maori, e tra questi sono quasi assenti coloro che non hanno alcuna traccia di sangue occidentale, dato l’alto numero di matrimoni misti.

Le battaglie politiche per la riappropriazione dei territori rubati sono ancora in atto, ma nonostante ciò a primo impatto i Maori appaiono integrati all’interno della società. È necessario scavare un poco più a fondo per rendersi conto di tutte le differenze sociali, culturali e spesso economiche che separano ancora le due etnie, rendendo la situazione più complicata di quanto possa sembrare. L’apertura mentale di un paese come è la Nuova Zelanda, in cui i gruppi etnici che si combinano sono ormai decine e decine, non basta ad annullare questa separazione, considerando anche che la costruzione di città, per quanto limitata, è stata un cambio drastico per una popolazione abituata a vivere nel bush. Raggiungere la Nuova Zelanda alla scoperta di questo popolo quindi non significa visitare villaggi o tribù, come accade per altri popoli indigeni. Questi ormai non esistono più e la comunità Maori si differenzia dal resto della popolazione soltanto per aspetti socio-culturali, più o meno accentuati a seconda di zona, età ed educazione. La Nuova Zelanda è il primo stato a concedere il voto alla popolazione indigena. Oltre a questo, se con l’arrivo e l’insediamento degli europei a metà ottocento il numero di nativi diminuì drasticamente, i benefici che lo stato concesse ai Maori con figli dal 1930 furono la spinta necessaria a ristabilire questa cultura. Lo spostamento nelle aree urbane dagli anni ’50 in poi, portò a un miglioramento nello stile di vita dei Maori, ma al contempo mise in evidenza le grandi differenze con la popolazione Pakeha, europea, che ancora oggi sono presenti. In un sistema economico occidentale questa differenza rimane difficile da colmare e basta osservare i dati riguardanti disoccupazione e criminalità (le prigioni sono occupate per il 50% da Maori, pur essendo questi soltanto il 15% della popolazione) per capire quanto sia distante ancora l’uguaglianza sociale. Nonostante i tentativi del governo di migliorare la situazione tramite benefit ed educazione agevolata, il dibattito sulla giustizia di questi aiuti rimane acceso. La cultura Maori però non sembra soffrire, ed è proprio nell’arte e nei rituali classici che si trova l’orgoglio di questo popolo, che riesce a sentirsi ancora oggi legato alle proprie radici, praticando l’haka, riunendosi per cucinare in modo tradizionale, ed inserendo anche all’interno dell’inglese frasi di uso comune in lingua madre.