Dispacci dalla Strada #2: Dili

Se c’è una cosa che non manca, qui, è la polvere. Sulle strade asfaltate, quelle principali, viene trascinato il terreno dalle vie laterali, dalle baracche, e sui marciapiedi piastrellati in stile europeo, anche in centro, si cammina sempre su un sottile strato sabbioso. La lunga serie di Jeep e Pajero, nuovi di pacca, non se ne cura. Loro sfrecciano, si nascondo dietro i loro vetri oscurati, e fuggono all’afa nel loro cubicolo condizionato. Due lettere stampate sugli sportelli laterali, UN, chiariscono a chi questo luogo non lo conosce la presenza di questi mezzi così estranei al contesto.

Ancora non ho ben chiaro cosa rappresenta questo luogo, ma l’impressione è che finalmente la pace sia arrivata e, per i timoresi, tutto il resto sia secondario. C’è la fame, l’educazione, la salute, ma sono tutte cose che lentamente miglioreranno. Il peggio è passato, e la gente se ne rende conto, sorride. A Dili esiste soltanto un’ostello. In realtà in tutto il Timor Est esiste soltanto un ostello. È l’East Timor Backpackers in zona Mandarin, e chiamare turisti i personaggi che occupano le sue tre stanze è se non altro diminutivo. Le moto parcheggiate al cancello spiegano tutto. C’è chi arriva dall’Europa, chi dall’Australia. C’è chi è in viaggio da sei mesi, chi da ventidue.

Il traffico non è niente in confronto ad altre capitali asiatiche come Hanoi o Kuala Lumpur, e qualcuno è ancora disposto a rallentare per farti attraversare la strada. Di visitatori però se ne vedono davvero pochi. “Perché hai scelto il Timor?” mi chiede il tassista che dall’aeroporto mi porta all’ostello, “Perché no?” gli rispondo io. Già all’atterraggio in quel gruppetto di edifici sudici, chiamati Dili International Airport, la gente si incuriosisce, qualcuno ti intervista, qualcuno non ti stacca gli occhi di dosso. Nessuno però, prova a venderti niente, nessuno insiste, ti approccia, vuole i tuoi soldi. Qui come sfruttare il turismo ancora non lo sanno, e l’uomo bianco viene ancora studiato, osservato come da dietro una vetrina, per capire quale sarà la prossima mossa, come reagirà a questo Paese, nuovo anche per chi ci vive.

Anche gli altri viaggiatori in qualche modo si interessano, voglio sapere la tua storia, capire come sei arrivato in questo angolo di mondo di cui è difficile ricordare la posizione. E ognuno ne una di storia, tutte diverse e incredibili. Ci si rende conto che nessuno è qui per caso.

Richiedere il visto indonesiano può essere tanto semplice quanto difficoltoso, se non si conoscono le regole. Vogliono una sola fototessera, ma che abbia lo sfondo rosso. Vogliono che compili il modulo originale, non una fotocopia. Vogliono inchiostro nero, non blu. Mi fermerò a Dili fino a quando mi sarà restituito il passaporto, poi mi muoverò verso est, prima a Baucau e il villaggio di pescatori Com, e poi sulle montagne, verso la vetta del Monte Ramelau. ll prossimo aggiornamento potrebbe essere più tardi del previsto, internet, qui, è una rarità.