Lonely Planet, lo Scandalo Kohnstamm, e la Fine delle Guide di Viaggio

La storia di Lonely Planet mi appassiona fin da prima che cominciassi a viaggiare. Il logo blu di quel pianeta stilizzato era, quando ancora sognavo di partire per terre lontane con uno zaino il spalla, il simbolo di un modo di muoversi semplice e indipendente, di uno stile di vita dedito alla scoperta. Molti dei miei itinerari sono stati organizzati sfogliando le pagine di una Lonely Planet e nonostante oggi approcci i luoghi che visito in modo diverso, rimango affascinato da come una casa editrice nata dalla strada sia riuscita ad influenzare in modo così forte il modo di pensare al mondo.

Il tempo e l’esperienza hanno cambiato sia la mia opinione nei confronti di Lonely Planet che l’utilizzo che ne faccio, ma una serie di eventi recenti hanno scosso il settore del turismo, tanto da portare a chiedersi quale sia oggi la funzione delle guide e degli scrittori di viaggio, quanto queste siano affidabili rispetto alle nuove risorse digitali, ma soprattutto se il danno che causano sia effettivamente inferiore al contributo che apportano nell’esperienza del singolo. Cominciamo dall’inizio.

La storia di Lonely Planet

Se ancora si può trovare della poesia nel marchio che ogni anno vende oltre sei milioni di guide turistiche, questa è nelle sue origini. Lonely Planet nasce negli anni settanta, quando Tony e Maureen Wheeler, dopo essersi sposati, decidono di prendersi un anno di pausa per togliersi la voglia di viaggiare prima di sistemarsi. Uilizzando tutti i soldi risparmiati che avevano a disposizione, partono con un pulmino scassato per raggiungere l’Australia via terra dall’Inghilterra.

Questo viaggio durerà più del previsto, quasi quarant’anni, come raccontano nella loro autobiografia Un giorno viaggiando. Dopo aver tagliato tutta l’Asia in un’era in cui tagliare questo continente non era scontato come può esserlo oggi, i Wheeler raggiungo l’Australia con pochi spiccioli rimasti in tasca. Senza soldi per potersi muovere o tornare indietro decidono di scrivere una piccola guida che descrive il loro lungo itinerario. Across Asia on the cheap vende 1.500 copie in una settimana e così nasce ufficialmente Lonely Planet.

Nello stesso stile, con mezzi di fortuna e pochi piani in mente, tornano in Asia per scrivere la seconda guida, South East Asia on a shoestring, che ancora oggi, alla quindicesima edizione, è tra le più utilizzate dai backpacker di tutto il mondo. A quarant’anni di distanza Lonely Planet è il colosso che ha venduto oltre 100 milioni di guide in nove differenti lingue, che copre quasi ogni destinazione raggiungibile al mondo.

Nel 2007 BBC Worldwide acquista il 75% delle azioni dell’azienda e nel 2011 compra il resto, portando i Wheeler a mettersi da parte. Oggi è impossibile viaggiare senza incontrare qualcuno che non stia sfogliando una Lonely Planet e spesso sono le guide stesse a dare forma agli itinerari più battuti. Lonely Planet oggi detta il successo di alberghi e ristoranti, muove il mercato del turismo in determinate località e definisce con esattezza il percorso di migliaia di viaggiatori.

La storia di Kohnstamm

Chi è Thomas Kohnstamm? Fino al 2008 il trentenne di Seattle era uno dei numerosi autori Lonely Planet. Un personaggio anonimo che come gli altri autori freelance di LP girava il mondo scrivendo di ristoranti, hotel, e spiagge, concentrandosi principalmente su Centro e Sud America, data la sua esperienza in questa regione. Con due lauree ed un master in Studi Latino Americani, una passione per il viaggio indipendente e una buona conoscenza sia del portoghese che dello spagnolo, Kohnstamm sembrava essere la persona perfetta per la stesura di una guida di viaggio approfondita su Brasile, Colombia, Caraibi e molte altre destinazioni.

Ad interrompere la sua carriera presso la casa editrice è una notizia sul giornale australiano The Age dell’Aprile 2008: “Lonely Planet colpita da uno scandalo per frode”. Nell’articolo è proprio Kohnstamm a lasciare una dichiarazione in cui ammette di aver scritto parte della guida sulla Colombia senza averla mai effettivamente visitata. “Lonely Planet non mi pagava abbastanza per andare in Colombia” racconta, “ho scritto la guida da San Francisco, con l’aiuto di una mia ex che lavora al Consolato colombiano”.

La confessione scuote non solo Lonely Planet, ma anche una lunga serie di pubblicazioni di viaggio che in seguito alle dichiarazioni di Kohnstamm reagiscono creando un caso. Una delle prime a riportare la notizia è Gadling, sito sul quale diversi autori si sono successivamente pronunciati a favore e contro Kohnstamm. Il colpo di grazia però non tarda ad arrivare, è infatti il libro Do Travel Writers Go To Hell? a mettere nero su bianco quale sia la realtà che sta dietro le guide e la scrittura di viaggio.

Do travel writers go to hell?

Do Travel Writers Go To Hell? è un libro che chiunque abbia mai preso in mano una Lonely Planet dovrebbe leggere. Stanco del suo monotono lavoro in Wall Street, Thomas Kohnstamm decide di provare un cambio di carriera diventando scrittore di viaggi. Assunto da Lonely Planet per la revisione biennale della guida sul Brasile, Kohnstamm parte per il Sud America con i migliori propositi. La spinta a prendere l’incarico è una vera passione per il viaggio e un genuino interesse nella regione, ma ciò che lo aspetta all’arrivo è tutt’altro che il lavoro dei sogni che si potrebbe immaginare. Se qualcuno si è mai chiesto come sia la vita di uno scrittore di viaggi, se avete mai sognato di essere pagati per andare a visitare le spiagge più belle del globo, questo saggio vi farà cambiare idea.

All’autore viene chiesto di rivedere l’itinerario da Rio a Olinda visitando tutti i ristoranti e gli ostelli citati nella precedente edizione ed espandendo la sezione dedicata ai viaggiatori più ricchi alla quale Lonely Planet stava cominciando a rivolgersi. Viene chiesto a Kohnstamm di coprire circa 2.300 chilometri in un mese, periodo in cui avrebbe dovuto visitare diversi ostelli e hotel ogni giorno, capire il sistema dei trasporti pubblici, trovare colazione, pranzo e cena ideali per ogni budget e località, scrivere e inserire i dati in tabelle apposite, il tutto per una commissione di poche centinaia di dollari. Kohnstamm parte cercando di fare del suo meglio, ma ci vuole poco prima che si scontri con il fatto che è impossibile curare una guida completa in ogni dettaglio con un budget così piccolo, con così poco tempo, dovendo parlare, oltre che al backpacker, ad un pubblico completamente nuovo, quello del viaggiatore di fascia medio-alta.

I problemi arrivano quando i soldi finiscono. Il libro scorre veloce tra gli stratagemmi utilizzati dall’autore per poter procedere. Pur essendo inizialmente fedele alle regole di Lonely Planet che vietano di accettare regali in cambio di recensioni, Kohnstamm si trova costretto a considerare, e poi utilizzare, camere d’albergo gratuite, pasti, bevute e trasporti in cambio di citazioni nella guida.

Entrando in contatto con autori precedenti, scopre che questa è la regola per la maggior parte delle guide. L’unico modo per guadagnare qualcosa è aggirare il sistema. Quella che parte come una giustificazione diventa in breve uno stile di vita, dall’episodio di sesso con una cameriera riportato sulla guida come “servizio al tavolo amichevole”, fino allo spaccio di ecstasy per poter proseguire il viaggio e finire il lavoro. Kohnstamm aggiunge poi che”Le informazioni che non posso ottenere, me le posso sempre inventare”.

Do Travel Writers Go To Hell? è un libro comico, forse fin troppo colorito, che però mette di fronte ad una triste realtà: Lonely Planet è lontana da essere la bibbia a cui fin troppi di noi si affidano.

Reazioni al libro e l’integrità di Lonely Planet

Il filone di risposte e recensioni a questo testo è stato più lungo di quanto ci si potesse aspettare considerando l’argomento di nicchia, ma tra chi si è trovato d’accordo con Kohnstamm e chi gli si è scagliato contro la distinzione è stata netta. La prima reazione è stata, ovviamente, dagli affezionati alla guida. Chi utilizzava Lonely Planet da anni non ha saputo accettare il fatto di aver speso soldi ed aver seguito i consigli di qualcuno che in molti dei luoghi descritti non ci è neanche stato.

Dopo la confessione, Lonely Planet ha dovuto rivedere ogni singola guida a cui Kohnstamm ha messo mano, ma nonostante ciò su Amazon i commenti negativi alla guida sulla Colombia si sprecano. Ci sono poi gli altri scrittori di viaggio, che hanno criticato Kohnstamm per la sua arroganza, per il suo “non mi pagano abbastanza”, negando con il suo comportamento la possibilità a molti giovani scrittori di crescere e lavorare. In tutto ciò si dimentica spesso la vera storia che il libro racconta, quella che ricorda che l’impossibilità di trovare una guida completamente affidabile, e che costruire un viaggio sulle informazioni stampate è un errore, come ricorda Jeffrey White su Gadling.

Alcune considerazioni su Thomas Kohnstamm

Prima di giungere a conclusioni è necessario chiarire alcuni punti su Kohnstamm, che nella confusione di questo scandalo ormai datato qualche anno sono andati persi. La prima cosa da sapere, venuta fuori successivamente, è che a Kohnstamm non era mai stato chiesto di andare in Colombia. Come ha ammesso uno dei direttori di Lonely Planet, all’autore era stato commissionato di scrivere soltanto i capitoli introduttivi, incarico che dati i suoi anni di studio avrebbe potuto fare da casa, come riportato dal Guardian.

Da questo dato appare come in realtà Kohnstamm abbia cercato di crearsi un’immagine con l’intento di vendere il libro in uscita, e come questa figura di uomo che ha venduto l’anima al diavolo sia più una tecnica di marketing che altro. Kohnstamm aveva comunque dimostrato che quella dello scrittore di viaggi non è una vita facile già da prima dell’uscita del libro. Su un articolo del New York Times del 2006, due anni prima dell’uscita di Do Travel Writer Go To Hell?, viene scritto di quando Kohnstamm è stato rapinato e pestato da un gruppo di persone armate in Venezuela mentre usciva da un bar da recensire. Kohnstamm non viaggia perché è sicuro, perché è pagato bene o perché è costretto. Viaggia perché gli piace e se “fregare” Lonely Planet è l’unico modo per farlo, così sia.

L’eccessivo sensazionalismo può rendere il personaggio antipatico, come è stato descritto da molti giornalisti, ma anche togliendo la parte sesso, droga e rock’n’roll, la vita del travel writer si dimostra una corsa contro il tempo, contro la deadline, per pochi, pochissimi soldi, tanto da far perdere l’entusiasmo anche ai più agguerriti viaggiatori e rendendo di conseguenza la pubblicazione un lavoro spesso superficiale. Se la storia di Kohnstamm produce dei dubbi legittimi, un buon post di comparazione è quello della sua collega Zora O’Neill, altra autrice Lonely Planet e Rough Guides, che all’uscita del libro si è espressa chiaramente su tutti gli aspetti del suo lavoro.

In difesa di Lonely Planet

Paradossalmente, in questa ricerca al nodo della questione, è proprio Kohnstamm a tendere la mano a Lonely Planet. Nella sua intervista a World Hum, l’intera storia è discussa con toni molto più moderati. È vero, in Brasile ha preso dei regali, ma non in cambio di recensioni. Ed è vero, molte delle sue citazioni sono state alterate dai media. Ma nell’ultima parte dice una cosa molto semplice: le guide devono essere usate per farsi un’idea generale del viaggio, non per costruire l’intero itinerario. E in questo Lonely Planet offre tutto ciò che serve. La apri quando hai bisogno di un letto qualsiasi per dormire, la leggi per avere un’immagine delle località in cui andrai, la sfogli per informazioni brevi che potresti trovare altrove ma lì sono raccolte tutte insieme. Lonely Planet non è una buona guida per pianificare un viaggio in modo completo, ma non è questo il suo utilizzo.

Un’altra nota sugli autori di Lonely Planet: chi crede che un autore sia scorrazzato da un angolo all’altro del mondo per scrivere guide si sbaglia. In zone più remote può essere necessario spedire qualcuno, ma basta aprire le guide su Australia, Nuova Zelanda o Indonesia (per citare quelle che mi sono capitate tra le mani di recente) per vedere che tra gli autori si trovano spesso persone del posto o expat di lunga data che conoscono già in modo approfondito l’area di scrivono. Dover cominciare da zero, come per Kohnstamm in Brasile, non è sempre il caso.

La risposta ufficiale di Lonely Planet arriva su un articolo del New York Times, dove Stephen Palmer, uno dei direttori, non solo assicura che tutte le guide sono state riviste e non sono stati trovati errori, ma anche che Lonely Planet paga più che bene i propri autori.

Abbiamo bisogno di una guida per viaggiare?

Passando oltre la vita privata o il comportamento scorretto degli autori di guide, la domanda da porsi è: ma queste guide servono davvero così tanto? Sul come le guide stampate siano scritte abbiamo conferma da più fonti, e il libro di Kohnstamm non porta novità. Un articolo conclusivo arriva proprio da un altro autore, Tim Patterson, che su Matador Network ci ripete come lo scandalo sia più mediatico che reale, e che una volta calmate le acque l’unica questione di cui discutere è se utilizzare la prossima guida o meno. E la sua risposta è no, per una lunga serie di motivi.

Il primo sono i tempi di stampa. La guida di carta è inaccurata per natura perché i lunghi tempi di pubblicazione la rendono inevitabilmente obsoleta. Ci vogliono mesi per scriverla, poi editarla, poi stamparla e distribuirla. L’ultima Lonely Planet che teniamo tra le mani (Lonely Planet è la casa editrice che rivede i testi più spesso) è solitamente vecchia di almeno un anno. Con l’avvento delle guide elettroniche e dell’user generated content tutto il processo che va da stesura a distribuzione è ridotto, rendendo le piattaforme digitali molto più accurate.

C’è poi “l’effetto Lonely Planet” che oggi ha rovinato un po’ il gusto del viaggio indipendente. Questo lo ammette anche Tony Wheeler quando gli viene chiesto della vendita dell’azienda. “Era giunto il momento. Non stavamo più facendo un lavoro buono quanto avremmo voluto” ha detto a Chiang Mai News. E questa non è una sorpresa, notando come quella che era nata come una guida al viaggio frugale oggi ha creato i tracciati più battutti in assoluto, tra cui il Banana Pancake Trail asiatico.

L’esplosione del turismo di massa ha certamente aiutato l’economia di molti paesi in via di sviluppo – la Thailandia ne è l’esempio principale – ma al contempo ha standardizzato qualcosa che trova senso proprio nella spontaneità. Qualcuno arriva all’estremo, dicendo che viaggiare oggi è una completa perdita di tempo, spiegando che non c’è motivo di andare in un luogo visitare tutti i “must do” e poi tornare a casa. E un po’ è vero purtroppo, anche se la colpa forse non è tutta di Lonely Planet.

È di una casa editrice la colpa di aver omologato l’esperienza del viaggio? Certo che no, e a dimostrazione di questo basta tornare molto più indietro per capire che già in passato si discuteva il fenomeno di cui oggi accusiamo Lonely Planet.

  1. Ciao Angelo,

    trovo questo post molto interessante e uhm diciamo che in questo periodo della vita… mi tocca personalmente.

    Sono stata una "Lonely Planet enthusiast" per molti anni, ma lentamente ho sviluppato una sensazione di fastidio che poi si e' fatta vera e propria delusione. Prima di leggere il tuo post, e che ora peggiora la mia opinione di Lonely Planet, avevo perso il mio culto per questa casa editrice per due motivi d cui anche tu parli: 1) ormai si rivolgono piu' al turista medio che al viaggiatore indipendente/low cost 2) dettano gli itinerari di viaggio.

    Detto questo, sto provando a organizzarmi la mia prossima vacanza (Vietnam, 4-20 ottobre) con le informazioni trovate in rete ma confesso che lo trovo piu' difficile di quel che pensavo, seppur legga regolarmente blog di viaggio, in italiano e in inglese. Ho trovato articoli interessanti ma fornivano piu' punti di vista che informazioni pratiche. Ho pensato di postare delle domande specifiche su dei forum, ma mi sono accorta che quasi tutte quelle domande erano gia' state poste… e nessuno aveva risposto. A volte le informazioni trovate nei blog non erano aggiornate, per esempio volevo prenotarmi un ostello che era stato consigliato online ma aveva chiuso, il che mi ha fatto pensare che seppur non cartaceo anche il blog richiede degli aggiornamenti che l'autore potrebbe non avere il tempo o le possibilita' di fare.

    Se avessi tempo e voglia di scrivere un post con dei consigli e delle fonti da utilizzare per organizzarsi un viaggio senza comprare una guida turistica lo troverei davvero utile e te ne sarei immensamente grata!

    Arianna

    ps scusa la lunghezza del commento, ho provato a riassumere piu' che potevo!

    1. Ciao Arianna,
      mi hai dato un buono spunto per un articolo, sicuramente lo scrivero` al piu` presto. Dipende ovviamente dal tipo di viaggio che devi organizzare e di sistemi ne esistono diversi. Proprio ieri ero su un isola in thailandia, dove il gestore dell'alloggio dove stavo mi ha raccontato di come la scrittrice della guida sulle isole Thai ha visitato 14 isole in 3 giorni, e come l'autore della guida sulla Thailandia e` stato a gratis nel resort da 400 dollari a notte in cambio di una recensione!

  2. Ottimo post che sviluppa bene il tema… un anno fa avevo tentato di aprire una discussione su linkedin in un blog di travel blogger, ma non ne avevo tirato fuori nulla tanto ritenevano la questione vecchia e poco interessante…

    Arianna ha ragione quando evidenzia i limiti delle guide che bisogna scegliere anche di NON seguire. Creano esperienze stereotipate, in serie, se seguite troppo. Uccidono il concetto stesso di viaggio.

    In ogni modo sono un amante delle Routard e spero non spariscano mai. Secondo me alcune sono esempi eccellenti di letteratura di viaggio.

    Tempo fa ho scritto qualcosa qui http://patrickcolgan.wordpress.com/2012/12/10/117… magari se tocco nuovamente il tema linko questo post.

    1. Ciao Patrick,
      grazie del tuo contributo. Sinceramente non ho utilizzato le Routard, e non mi posso esprimere al riguardo, comunque come ho detto credo sia presto per annunciare la fine delle guide che sicuramente hanno ancora un uso. Ed è vero sono belle, trovo bellissime le copertine di Lonely Planet e possono creare una bella collezione sullo scaffale, il problema è che a livello pratico con gli ebook e internet che ormai si trova ovunque le informazioni a disposizione sono molto migliori.

      1. Quello che danno le guide è un'organizzazione ai contenuti, un punto di vista ed è ancora il ruolo di qualsiasi testata o 'organizzatore di notizie', sia esso in formato digitale o cartaceo. L'importante però è mantenere la qualità e il proprio profilo…

  3. Mi e' piaciuto un sacco questo articolo!! forse anche perche' ne condivido il punto di vista 😀 la Lonely e' ottima davvero giusto per le informazioni molto pratiche e specifiche, per le emergenze e, al limite, per sapere quali posti evitare! ;P

  4. Concordo con Claudia e da esperienza diretta (Sri Lanka, Tanzania e ahimè l'incriminata Colombia) ritengo che affidarsi ad una guida sia ormai come compiere il viaggio di un altro, un inseguire e un verificare se quello che c'è scritto è vero oppure no. Senza tener conto che molto spesso questi scrittori di guide appaiono, con i loro commenti inopportuni, dei veri e propri Babbei da viaggio, che non sono mai usciti da casa o che non hanno mai visto una spiaggia come si deve o mangiato qualcosa di universalmente riconosciuto buono e mi spacciano come spiagge idilliache alcune discariche in Thailandia o deliziosi gli spaghetti alla carbonara in Laos. Non riuscendo però a far meno di una guida per le parti descrittive ambientali, trasporti e culturali (e di cui sono ben contento che le abbiano scritte anche con il supporto di una ricerca su internet da casa loro e al posto mio) adesso uso la LP, infatti, al contrario cioè evito appositamente tutti quei posti, specie ristoranti e hotel indicati nella guida, come spesso evito anche le località super gettonate perché sono sicuro che lì troverò una marea di gente tutti con la Lonely in mano che invece di "perdersi e viaggiare" sono alla ricerca della conferma di quanto scritto nella guida, come se lo scopo del viaggio fosse fare un itinerario senza difficoltà e/o imprevisti che sono poi, una volta risolte, il gusto del viaggiare inteso come scoprire e conoscere …(almeno x me).

  5. Pingback: Il collezionista di guide, la crisi e il caso Lonely Planet | PatatoFriendly
  6. Ciao! Volevamo farti i complimenti per l'articolo.

    Volevamo inoltre dirti, che per la completezza dello stesso, parlando dello stesso argomento, l'abbiamo messo nel nostro blog, inserendo il link.

    Tra l'altro non ti conoscevamo, ma volevamo farti i complimenti per il blog e per i viaggi.

    Un saluto ed una buona vita 🙂

    Questo è il nostro blog:
    http://www.dueingiro.blogspot.it

    E questo è il link in questione:

    http://dueingiro.blogspot.it/2014/07/lonely-plane

  7. Interessantissimo post! Nonostante il tuo articolo, e alcuni posti discutibili che la Lonely Planet qualche volta elogia, io continuo a comprarla. Ovviamente utilizzandola come base, e non come unica fonte di informazione: pure -se per assurdo- tutte le guide di questa casa editrice fossero solo un riassunto delle opinioni più verosimili trovate su internet, adoro il modo in cui è organizzata e la miriade di aspetti che esamina. Tu che guide leggi quindi? Ne leggi ancora qualcuna? Per uno slow travel sono chiaramente molto meno d'aiuto, ma non nego di aver trovato spunti molto utili sulla Lonely Planet anche su posti in cui ho vissuto a lungo!

    1. Ciao Valeria, grazie del commento. Ho usato LP in passato e probabilmente mi capiterà di usarla ancora, ma per me il problema è sempre stato il peso dei libri di carta nello zaino, quindi alla fine mi sono affidato più a internet, quando avevo bisogno di una guida. Thorn Tree, il forum di Lonely Planet, può essere molto molto utile in regioni poco battute o spesso anche solo Wikitravel. Dipende un po'. Leggo volentieri qualsiasi guida in verità, ma non provo alcun affetto per LP e credo che spesso le persone si dimenticano che nonostante sia un grande marchio contiene le opinioni dei pochi autori che le hanno scritte, quindi molti dettagli restano soggettivi e gli andrebbe dato il peso che meritano.

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