Laos: Prime Impressioni

Il Laos è come mi immagino sia stata la Thailandia vent’anni fa, e basta salire sulla consumata barca di legno che separa Chiang Khong da Huay Xai per notare le prime, piccole differenze. Il Mekong non è soltanto un divisorio naturale tra due paesi che tanto hanno in comune quanto in contrasto, ma anche, sembra, una lunga lingua d’acqua sporca sulla quale è necessario passare per poter capire la transizione. Le città di confine come queste sono luoghi di passaggio, quasi sempre villaggi allargati, simili, confusi, dipendenti l’uno dall’altro, dove la separazione non è altro che una linea immaginaria che non ci si rende ben conto di aver superato. Ma qui è diverso, qui c’è il Mekong, una linea netta che rende concreta un’azione che solitamente così concreta non è: abbandonare un territorio per mettere piede su uno nuovo.

Ogni bar, ristorante, guesthouse, ha la stessa insegna. Un cartello giallo, sempre la stessa tonalità di giallo, con il proprio nome scritto in rosso prima e in blu dopo, in lao ed in inglese. Ogni cartello porta con sé la stessa pubblicità, lo stesso sponsor, ossia la birra nazionale. La Beer Lao, il cui nome spiega più o meno tutto quello che c’è da sapere sul prodotto, è offerta in due versioni, una lager chiara ed una scura. Questa è l’unica birra disponibile nel 90% del paese, a parte le più grandi città. Il prezzo è sempre lo stesso, 10.000 kip, che si compri per strada, in un ristorante, o in un negozio. Non importa quanto e in quale direzione si guidi, ovunque si vada un cartello giallo con la stampa della solita bottiglia di birra sarà lì ad attendere, ogni locale deve essere annunciato così. È questo l’ultimo segno di un comunismo in decadenza? Oppure è l’unica forma di standardizzazione possibile in un paese dove buona parte della piccola popolazione vive ancora in tribù sulle colline?

Avvicinandosi al confine con la Cina le strade migliorano e il numero di camion aumenta. La dogana sembra tutt’altro che chiusa e il traffico va e viene. Una grande miniera aperta di non so bene cosa è stata scavata a pochi passi dal confine, i lavoratori vivono in baracche sul luogo. È scendendo che ci si trova di fronte a strade malmesse che si trasformano in una poltiglia marrone dopo ogni pioggia. L’autobus da Luang Namtha a Luang Prabang impiega dodici ore per percorre qualcosa come 350 chilometri. Per fortuna nei due giorni precedenti non ha piovuto. Il fango mette alla prova il pilota, che si scola bottigliette di M150 (una specie di Red Bull concentrata) una dopo l’altra.

La lingua è simile a quella thailandese, “Ciao” e “Grazie” suonano molto vicini. Così è la musica e anche i programmi televisivi vengono dalla thailandia. Il cibo, se non alcune eccezioni, è il solito, anche se già dal confine c’è chi tiene a precisare “Qui non vendiamo Pad Thai, soltanto Pad Lao.” La cultura dei lao è quindi vicina a quella thai, ma al contempo i lao, da cui questo territorio ha preso il nome e non viceversa, sono soltanto una parte della popolazione. Ci sono i Hmong, i Lan Ten, gli Akha, i Black Thai, e altre tribù indigene o provenienti dai paesi circostanti che hanno una cultura differente e parlano la propria lingua.

I costi del viaggio, che mi aspettavo fossero più bassi rispetto alla Thailandia, non sempre si sono rivelati tali. Mentre dormire costa generalmente poco (5€ a camera doppia), mangiare tende a costare un po’ di più in quanto tutto è arrotondato a 10.000 kip. Lo street food che in Thailandia parte da 30 Bath qui costa quindi 10.000 kip, ossia 40 Bath. Per i ristoranti, anche a gestione familiare, si spende circa il doppio, quando in Thailandia, almeno nel nord 80 Bath è un prezzo più alto della media. Luang Prabang ha diverse opzioni per lo street food, e la colonizzazione francese si è lasciata alle spalle il pane che altrimenti in Asia è un lusso, con baguette ripiene vendute un po’ ovunque.

Sono in Laos da circa una settimana e questo potrebbe essere il paese che mi è piaciuto di più in Sud Est Asiatico. Forse perché arrivando qui non si hanno aspettative, forse perché nonostante si sia aperto al turismo sia riuscito a mantenere quell’aspetto rurale e disordinato che altrove è andato perso.