I Templi Pornografici di Khajuraho, India

Capita, durante un viaggio in territori in cui la religione è una forte componente culturale, di arrivare ad un punto in cui di vedere templi non se ne può proprio più. In India in particolare, ogni città, ogni villaggio, ogni centro, ha almeno una dozzina di santuari, monumenti, moschee e mausolei sulla lista delle attrazioni e dopo aver visitato i più maestosi c’è solo un numero limitato di chilometri che il corpo può sopportare di percorrere per vedere un altro tempio, che il non credente può apprezzare spesso solo esteticamente. Ecco, il raggiungimento di questa perdita di entusiasmo nei confronti delle strutture sacre del sub-continente è il momento perfetto per partire per Khajuraho.

La piccola cittadina di Khajuraho è situata nella parte alta del Madhya Pradesh, ad una nottata di treno da Varanasi e poco meno da Delhi, e con una popolazione di 20.000 abitanti che vivono ai bordi delle sue strade polverose non sarebbe finita nei must see di ogni guida turistica del mondo se non per il complesso di templi induisti che tre le proprie sculture mostrano l’aspetto, diciamo, più terreno di una vita dedicata allo spirito. Entusiasmo forse non è il termine esatto quando si parla di una visita ai templi di Khajuraho. Eccitazione è probabilmente più corretto.

Il sito, entrato nella lista di Patrimoni dell’Umanità UNESCO dal 1986, comprende diversi gruppi di templi, alcuni induisti e altri, più piccoli, gianisti, che sono sopravvissuti a circa mille anni di intemperie e oggi sorgono in diversi punti della città. Il complesso di templi più famoso, e l’unico per cui si paga l’ingresso, è quello occidentale – il Western Group of Temples – a pochi passi dal centro della parte nuova della città in cui si trovano la maggior parte delle strutture turistiche. Entrando si è circondati da una decina di templi in pietra arenaria le cui pareti, esterne e interne, sono scolpite in modo minuzioso con dettagliate scene di vita quotidiana. Camminando attorno alle grandi strutture percorriamo una lunga cornice di raffinate raffigurazioni di donne che si pettinano i capelli, un musicista che suona un tamburo, contadini che spingono carri, mucche decorate a festa, un uomo che incula un cavallo, bamb.. Eh? Come? Quando? L’ho visto davvero? Era veramente un..? Come è possibile? Siamo sicuri? No, dai, davvero? Così facciamo un passo indietro, un po’ increduli, e sì, avevamo visto bene.

Se questi atti di bestialità d’altri tempi portano certamente ad una sosta perplessa nel nostro itinerario all’interno del sito archeologico, non sono gli unici che costringono a stringere gli occhi per mettere a fuoco cosa sta realmente accadendo in alcune sculture in cui troppi arti si intrecciano per capire cosa appartiene a chi. Non è chiaro il motivo di così tante scene erotiche in questi templi in particolare, alcuni le attribuiscono al Kamasutra mentre altri credono che semplicemente al tempo della costruzione, tra il 950 e il 1150 D.C., prima della presa di potere dell’impero Mughal, le pratiche tantriche fossero ancora accettate e diffuse, oltre ad essere illustrative per i maschi più giovani in preparazione a diventare uomini. L’unica cosa certa è che qui nessuno sembra contorcersi tanto solo per procreare.

Ma le immature risate causate dai piccoli (e meno piccoli) organi genitali scolpiti nella pietra e il farsi fotografare in pose blasfeme davanti ad un monumento sacro non sono gli unici motivi a rendere Khajuraho un luogo che vale la pena visitare. La curiosità maggiore infatti deriva dal fatto che un’opera d’arte del genere esiste proprio in India dove oggi tutto ciò che ha a che fare con il sesso è, e definirlo così è riduttivo, tabù. Per un’immagine più chiara l’India è il paese dove una donna con una spalla o una caviglia scoperta è guardata come se appartenesse alle Femen, dove il matrimonio è spesso indipendente dalla volontà delle due parti, è il paese dove ogni segno di affetto in pubblico provoca una reazione. È dove ogni coppia straniera riceve quotidianamente la domanda “Siete sposati?” (perché non è normale che un uomo e una donna viaggino insieme altrimenti), dove non si vede una donna bere o fumare in pubblico (perché sarebbe considerata una prostituta) e dove in televisione la parola sex è censurata e ogni scena tagliata (tipo che se stai guardando Eyes Wide Shut il film dura 5 minuti).

A Khajuraho si è quindi messi di fronte ai due estremi da cui l’India è passata in un migliaio d’anni e ci si rende conto che tutte quelle che sono fatte passare per oscenità sono oggi ed erano ieri, normalità. Ma non quella del cavallo – no, no, no, non provateci a casa.