Travel Talks #3: “La Strada per la Felicità” con Francesco Wil Grandis

La prima volta che mi sono trovato a leggere le parole di Wandering Wil non ne sono rimasto impressionato. Anzi, devo ammettere che i primi articoli sulla sua pagina Facebook, quando ancora il sito non esiseva, li ho letti storcendo un po’ il naso. Trovandomi di fronte a discorsi sulla libertà, sulla ricerca della felicità e se vuoi sul significato della vita di cui già in troppi si sono riempiti la bocca solo una cosa riuscivo a pensare: ecco un altro che è andato un paio di mesi in vacanza e ora pensa di essere Terzani.

Mi sbagliavo. Unendo i punti che raccontavano la sua storia e più tardi avendo modo di scambiare con Francesco Wil Grandis alcune parole riguardanti i suoi progetti, mi sono reso conto ben presto che le sue non sono parole pubblicate perché suonano bene. Le sue sono parole che raccontano qualcosa che sta realmente accadendo, descrivono il suo, personale, percorso verso una meta difficile da definire: la felicità. Un percorso ricco di tentativi, svolte ed anche errori, ma concreto, pensato e condiviso non per insegnare qualcosa, ma per dimostrare attraverso la propria pelle che cambiare in meglio è possibile e tutto sta nelle scelte che facciamo.

Francesco si descrive come una persona normale: aveva un lavoro ordinario e pur avendo viaggiato non aveva mai fatto niente di estremo. Solo le scelte che ha fatto lo distinguono da chi dalla norma non si distacca. Lasciare il posto fisso per partire per un giro del mondo è stato il primo passo per riempire un vuoto che la regolarità non riusciva a colmare. Ma fin qui niente di strano, l’abitudine rende la vita piatta e così si parte. Riuscire a reinventarsi lavoratore nomade, riuscendo a trasferire la propria professione su internet potendo così lavorare da qualsiasi parte del mondo, è stato più difficile, ma è stato possibile con alcuni sacrifici. Ma anche questo, per molti un sogno, non è stato abbastanza e oggi, dopo l’apertura del sito ufficiale e due conferenze pubbliche già alle spalle, Wandering Wil ha deciso di cambiare ancora, abbandonando il suo lavoro di programmatore per diventare scrittore a tempo pieno.

Ecco, questo è il punto della sua storia che mi ha incuriosito. “Voglio diventare scrittore” ha detto Francesco un giorno. Così, senza sapere bene né come né quando. Essere un nomade digitale era bello, ma perché fermarsi? Perché non puntare in alto, cercando di conquistarsi la libertà totale, trasformando la propria passione nel proprio lavoro? Qui non si tratta di mollare tutto e partire, di scappare, ma di trasformarsi, di smettere di fare ciò che non ci migliora nel momento stesso in cui ci si accorge di non essere felici. O felici abbastanza. Questa realizzazione a Francesco è arrivata proprio durante il discorso a un gruppo di ingegneri all’Università di Stoccolma, dove parlando di opportunità e scelte della vita, Francesco si è reso conto che ispirare gli altri era l’unica cosa che lo rendesse completamente appagato.

In Italia non si viaggia, e parlare di partire per mete lontane fa sempre il suo effetto. Ma in Svezia che l’anno sabbatico è parte stessa del percorso educativo, parlare di lavoro nomade, di giri del mondo, e di libertà che effetto ha fatto?” ho chiesto a Francesco. “In Italia pochissimi sanno cosa sia il nomad working, mentre in Svezia lo sanno tutti, e per questo il mio discorso in Italia avrebbe avuto molto più effetto. Ma anche le persone con cui ho parlato, che hanno già tutte preso decisioni forti proveniendo in buona parte da paesi stranieri, hanno confessato di avere dubbi sul proprio futuro. Perché alla fine tutti siamo più o meno intrappolati nell’idea che farsi una posizione sia qualcosa di necessario“.

“In Italia tendiamo a legarci alle cose stabili per la vita, come la casa, il lavoro, la famiglia” continua Francesco “ma questa stabilità costa un prezzo molto caro: mutui per trent’anni e lavori che non ci soddisfano a cui non vogliamo rinunciare“. “Negli ultimi tempi ho parlato con persone di ogni ceto sociale: dal disoccupato che non si sente realizzato, alla segretaria che non ce la fa più per la noia, al bancario ben posizionato che si è reso conto di non aver fatto niente di significativo nella propria vita. Sono tutte persone che quando leggono quello che ho fatto sognano una vita diversa”. Ispirare queste persone a reinterpretare la propria vita è la missione di Francesco, che oggi prova a farne un lavoro.

Ma come si diventa felici? Nei discorsi di Francesco ricorrono spesso due elementi collegati: il silenzio e la libertà. Al contempo già il primo evento, “Sette passi intorno al mondo“, ha fatto il tutto esaurito e mi chiedo se sia degli estremi, solitudine totale oppure centinaia di occhi addosso, che abbiamo bisogno. “La solitudine è solo uno strumento per affinare i sensi, per ‘sentire profondamente’, mentre la compagnia delle persone è qualcosa che amo, ma di cui non ho bisogno. Confrontarmi con gli altri è importante oltre che piacevole, perché fa scattare nuovi ragionamenti. La felicità non è negli estremi, è dappertutto, sta a noi cercarla ovunque sia“.
E al viaggio che ruolo spetta? È solo un modo per distrarci dalle abitudini? Trovando la propria passione si può essere felici anche senza muoversi, oppure spostarsi spesso è necessario?

Credo che si possa essere felici ovunque, ma sono anche una persona pratica e scelgo quindi la via più facile. Per seguira la strada che porta alla felicità abbiamo bisogno di conoscenza. Questa è piu densa nell’inaspettato, e per questo in viaggio è più semplice ottenerla. Per me è fondamentale avere sempre intorno costante varietà, da qualunque parte essa venga“.

Francesco si è dato un anno di tempo. Alla conclusione del suo lavoro di programmatore si è fatto due conti e ha capito che poteva permettersi dodici mesi di libertà, nei quali provare a realizzare il proprio sogno. Di recente è partito il sito, ma l’evento più importante è stata la prima di “Sette passi intorno al mondo” la prima conferenza di Wandering Wil, in cui oltre a raccontare il suo percorso di vita, Francesco ha cercato di lanciare un messaggio tanto semplice quanto chiaro: “se l’ho fatto io, puoi farlo anche tu”.

  1. Bell'articolo e bella riflessione! Credo che siamo tornati il popolo di emigranti che eravamo. Lo si nota dal boom di siti di viaggi, di persone che partono e vogliono trovare una strada diversa. Carlo Taglia, Francesco e molte altre persone stanno intraprendendo questo percorso.

    Mi piace certo pensare che queste persone abbiano una storia da raccontare, delle alternative da suggerire. Talvolta però mi viene da pensare com'è possibile che così tanti si riscoprono viaggiatori, scrittori, blogger, social media manager, SEO e quant'altro.

    Ma il viaggio quindi è ancora in funzione del viaggio oppure lo è in funzione di una legge sottile dettata da Like, Tweet e visite al proprio sito?

    Mi piace pensare che le persone scrivano perchè hanno qualcosa da dire, e non per il semplice fatto di riempire degli spazi vuoti. è semplicemente una riflessione e non una critica. Che ne pensi?

    Gian

    1. Posso rispondere io?

      Hai toccato un tasto dolente, Gian, me lo sono chiesto un sacco di volte anche io. Qualche volta vorrei partire, senza computer, senza cellulare, senza necessità di sentire casa e amici ogni due giorni massimo sennò si preoccupano..

      Credo che viaggiare una volta avesse un lato più… romantico, se vogliamo, e mi piacerebbe riappropriarmene prima o poi. Ci sto lavorando. Il viaggio per me è un modo (molto piacevole) di "tuffarmi nell'inaspettato", e in quell'ignoto, imparare sempre di più sul mondo e su me stesso. Il viaggio è lo strumento principale, ma non l'unico, della mia ricerca, e lo utilizzavo prima ancora di pensare di farlo diventare anche una professione. Poi mi sono accorto che alcune persone mi ammiravano per le mie scelte, e mi chiedevano consigli. Allora ho pensato che forse avrei potuto scrivere e raccontare storie. Ed eccomi qui nel mondo dei blog.

      Ma allora perché tutti poi diventano blogger, social experts, etc? Perché è il modo più facile, ed è alla portata di tutti. Una volta partivi, stavi via qualche anno, riempivi quattro o cinque diari di viaggio scritti a penna, poi tornavi, scrivevi il libro, e lo proponevi agli editori. Un lavoro colossale e con ottime probabilità senza nessun esito.

      Ora farsi sentire è più semplice, non richiede intermediari, puoi farlo "in tempo reale", e la tentazione di vivere scrivendo di viaggi è alta. E chi non lo vorrebbe? Adesso posso scrivere un articolo, e un'ora dopo l'hanno letto -che so- mille persone. La tentazione è altissima! Come tutte le cose però ha il suo lato negativo, e cioè che TUTTI ci provano, e internet si riempie di voci, ognuna che urla sempre più forte per emergere sul caos, per la propria briciola di gloria.

      Ci sto cadendo anche io, lo ammetto. Credo sia un passo obbligato per poter iniziare a scrivere seriamente (ammesso che la scrittura sia veramente la mia strada, ma questo è un altro discorso). Cerco sempre di mantenere i contenuti di buon livello, cerco di non far semplicemente "rumore", e ho la modesta convinzione di poter dire qualcosa di interessante per qualche altra persona. Se potessi viverci solo di questo, ne sarei davvero felice, credimi.

      Ma purtroppo devo anche io scendere a compromessi con i "numeri", e i numeri nel 2013 sono: like, commenti, condivisioni, visite sul sito, etc. Alternative migliori non ce ne sono, o se ci sono, non le ho ancora scoperte.

      Che ne pensi? E' un bell'argomento.

      Francesco Wil

      1. Grazie della risposta Francesco! è proprio del lato romantico che intendevo io e hai afferrato subito la questione. Credo ci sia la necessità di "perdersi" viaggiando, di lasciare da parte cose e persone, anche solo per un breve periodo. Poi si sa, ogni viaggio è diverso come lo è ogni persona.

        Non posso dire cosa sia giusto o meno nel viaggiare poichè è proprio un'esperienza personale. I compromessi esistono e lo capisco, ma c'è una grande distinzione fra ISPIRARE e VENDERE. Come tu ben sai, la qualità ripaga sempre anche se necessita di più tempo. Un esempio ne è Angelo, lo si legge nei suoi articoli, nelle parole. Non è alla costante ricerca di numeri.

        Poi è chiaro che c'è una legge di mercato per la quale dobbiamo ricavare e fare economia. In tutto questo ci tengo a precisare che non voglio essere moralista, semplicemente un pò romantico e nostalgico verso la parola "Viaggiare".

        Nei prossimi giorni guardo bene il tuo blog perchè non lo conoscevo ancora e ringrazio Angelo per questo. Poi, in bocca al lupo per i tuoi sogni e le tue ambizioni. Sicuramente possiamo restare in contatto. E poi, come diceva Diderot:

        "“Solo le passioni, le grandi passioni, possono elevare l'anima a grandi cose." In bocca al lupo.

        Gian

        1. Grazie a te, Gian! Perché sono le persone come te, e come Angelo, che mi ricordano costantemente di non perdere mai di vista la strada maestra, cedendo alla facile tentazione dei numeri.

          Sto affrontando nella mia testa questi problemi proprio in questo periodo di cambiamento. E' il dilemma del medico: se salva una persona, è un uomo buono. Ma se salva una persona, e si fa pagare per farlo, è ancora un uomo buono?

          Io credo che la risposta stia nelle motivazioni a monte: lo fa per fare del bene, o per i soldi? Viaggiare e scrivere e ispirare gli altri è la stessa cosa. Si fa per la popolarità fine a sé stessa, o con qualcosa di più nobile in mente?

          Accettare popolarità (e potenzialmente denaro) in cambio di qualcosa di buono, fatto per fare del bene, credo sia un compromesso accettabile.

          La qualità e la passione dietro ad un articolo o un libro sono semplici conseguenze della strada che uno ha scelto di percorrere.

          Beh, perdona la mia spiccata tendenza a filosofeggiare su tutto! Grazie ancora e ci sentiamo, ciao Gian!

    2. Ciao Gian,

      e' una bella riflessione in cui mi scontro anch'io spesso. Io per i primi sei mesi ero senza computer e senza cellulare, ed era bello. Se ripartissi per un viaggio breve probabilmente lo rifarei cosi', staccare la spina per un paio di mesi fa sicuramente bene. Viaggiando a lungo pero' se vuoi si entra a sua volta in una routine che fa perdere alcuni stimoli, e' come se anche perdersi diventasse la normalita'. e cosi' ho sentito il bisogno di cominciare un nuovo progetto che mi mantenesse stimolato: questo blog. Mantenere un blog pero' significa aggiornarlo costantemente, e quindi come dici te, riempire gli spazi anche quando si ha poco da dire. Non sempre viene fuori un bel risultato. Dopo alcuni anni io ho trovato il compromesso ideale: oggi mi fermo, scrivo abbastanza articoli per un mese ad esempio, li metto in programmazione automatica e poi spengo il computer e ho 30 giorni di quasi disconnessione in cui vaiggio pensando solo al viaggio e a cio' che mi circonda. Non avere uno smartphone aiuta da quel puto di vista.

      Questa e' la mia esperienza, forse non ideale per tutti, ma mi aiuta a prendermi il tempo di pensare, scegliere le idee e cercare di fare un buon lavoro a prescindere dai like.

      Sul fatto che tutti diventino blogger/scrittori/personaggi io ho un modo molto semplice di giudicare. Di uno che dice "parto per un viaggio e quando torno scrivo un libro" mi fido poco, perche' come si fa a sapere acora prima di partire che si avra' qualcosa da dire? Secondo me ha poco senso dire "voglio fare lo scrittore o il blogger" prima di avere delle esperienza da condividere, e bisogna invece prima costruire una storia e poi trovare il modo migliore per condividerla, che oggi in molti casi e' tramite internet. Questo credo sia quello che sta facendo Francesco, ha raggiunto delle conclusioni senza essere condizionato da quante persone sarebbero state d'accordo e ora sta cercando il miglior modo di condividere o utilizzare queste conoscenze. E infine, e' vero che tutti vogliono fare soldi facili, ma e' vero anche che c'e' chi vuole guadagnare qualcosa per poter fare meglio cio' che ama. E in questo caso e' probabile che qualche compromesso sia necessario soprattutto all'inizio.

      1. Molto interessante il tuo metodo di pubblicazione. Appena riparto proverò a metterlo in pratica e vedrò se può funzionare anche con me. Credo che staccare dall'eccesso di comunicazione faccia solo bene per recuperare un po' di silenzio dentro.

        Grazie ancora Angelo!

  2. Articolo molto interessante. Anch'io prima di partire per i miei (due) anni sabbatici mi sono lasciata ispirare da persone come Francesco, che avevano avuto il coraggio di prendere il volo e lasciare una routine che li allontanava dalla felicità. E' importante che mettano in rete le proprie esperienze: infondono il coraggio di rompere le regole a chi ancora si trova ingabbiato nella paura di lasciare tutto e non farcela.

    @Gian: Sono d'accordo con la tua riflessione. Ho letto siti di viaggiatori che sembra viaggino solo in funzione di raccontare poi sul proprio blog e fare audience. E si dimenticano di vivere. Me ne accorgo perchè sono i siti nei cui post, quando li apro, non riesco ad andare oltre il primo paragrafo.

  3. In tre parole: economia di scala, ovvero la pressione alla quale tutti e tutti i santi giorni dell'anno siamo sottoposti. "più produzione! più progresso tecnologico! più ricerca! più! più, più, più fatturato! più PIL! …" e alcuni filosofi hanno ipotizzato: "ma siamo davvero sicuri che al crescere del PIL, cresce anche la felicità e il benessere delle persone nella sua globalità?" la risposta la possiamo indovinare perchè in realtà la vera domanda sarebbe: "alla fine di tutta questa fiera, alla persona intesa come essere umano dotato sia di senso logico/pratico che emotivo-spirituale chi ci pensa?

    Lo so che forse non dovrei ma quando leggo: “In Italia non si viaggia, e parlare di partire per mete lontane fa sempre il suo effetto (…) In Italia pochissimi sanno cosa sia il nomad working, mentre in Svezia lo sanno tutti (..)" ci resto sempre molto male e il motivo principale è perchè so che è vero. E mi domando come cavolo abbia fatto un paese come il nostro a restare così fuori dai circuiti pensanti europei per tutti questi decenni.

    Non voglio e non mi permetto di giudicare chi segue la filosofia perfettamente descritta da Francesco:“In Italia tendiamo a legarci alle cose stabili per la vita, come la casa, il lavoro, la famiglia” (…) ma non voglio neppure credere che tutto il popolo italiano abbia solo ed esclusivamente queste ambizioni. Come ha scritto Francesco, sono d'accordo che a lungo andare questa stabilità che abbiamo ricercato in maniera ossessiva ci ha portati a pagare "un prezzo molto caro: mutui per trent’anni e lavori che non ci soddisfano a cui non vogliamo rinunciare“ e quindi purtroppo ad essere assimilati all'infernale macchina dell'economia di scala perchè tutti prevedibili a breve, medio e lungo termine e dunque sfruttabili. Ora, al di là dell'aspetto meramente economico io credo che sarebbe fantastico se ciascuna persona potesse scegliere senza compromessi (o comunque con compromessi limitati) cosa farne della propria vita, secondo me si starebbe tutti meglio liberi da pregiudizi, da pressioni sociali etc .. Perciò io credo che sì, abbiamo bisogno di più medici e operai qualificati e manager …. ma abbiamo sicuramente più bisogno di artisti e filosofi (specialmente in questo frangente storico e specialmente in Italia) abbiamo bisogno di ispiratori e di shamani che ci aiutino ad aprire le menti e a prendere maggior coscienza di noi stessi.

    @Francesco scusa per aver usato così tanto le tue parole, era l'unico modo per riassumere ed essere allo stesso tempo più incisiva … spero di essere stata una buona interprete … anzi no, perchè è giusto che ognuno lo interpreti a proprio modo, in base al suo proprio modo di vedere e di sentire.

    Voglio ringraziare anch'io Francesco e Angelo per averci portato questi preziosi contributi.

    1. Letizia, non hai niente di che scusarti! Anzi mi scuso io di arrivare a rispondere così tardi, ma purtroppo non mi arrivano le notifiche ai commenti (Angelo, metti su Disqus! 🙂 )

      Hai interpretato benissimo, e si, abbiamo sicuramente bisogno di più cultura, di più filosofia, di più "saggezza" se vogliamo… e che non arrivi da personaggi TV o da cattedrali dorate, che di quella saggezza sono già piene le tasche. Abbiamo bisogno di ricordarci che siamo essere pensanti, che abbiamo controllo sulla nostra vita, e in parte, anche sul resto del mondo. Abbiamo bisogno di ricordarci di essere UOMINI (e donne) nel senso più ampio del termine, e non semplici pedine di un gioco di cui non sappiamo nemmeno bene le regole.

      Io, nel mio piccolissimo, ci provo a lanciare i sassi nello stagno. E la mano non la nascondo!

  4. @Francesco: grazie per aver risposto, sono pienamente d'accordo! credo che la strada verso l'apertura delle coscienze sarà lunga e verrà ostacolata dai poteri forti (proprio ad esempio le "cattedrali dorate") perchè penso che l'uomo che ha grande cultura di spirito e sensibilità (e non puramente nozionistica o per fine scopo) sia più difficilmente corruttibile.

    Un grosso in bocca al lupo per tutto! (in antichità i romani rispondevano "grazie" e non "crepi" perchè la bocca del lupo era considerata il posto più sicuro, come quando la lupa trasporta i cuccioli). Grazie ancora

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.