A Caccia di Rinoceronti al Jaldapara National Park, India

Il villaggio di Madarihat comprendeva una sola, lunga, strada dritta. Dalla stazione al mercato attorno al quale il minuscolo centro si sviluppa si arriva in cinque minuti, ma questo è difficile saperlo quando il treno, in perenne ritardo, giunge a destinazione a notte fonda.

Notte fonda a Madarihat è tutta la parte della giornata che va dalle nove di sera in poi. L’elettricità, anche durante le ore diurne, va e viene in continuazione, senza preavviso, ma dopo il calare del sole ogni luce si spegne e il villaggio si addormenta. Arrivare in questo ambiente fantasma senza sapere dove andare, come andarci e a chi chiedere inquieta un po’, in particolare sapendo che non avevamo incrociato un altro turista da Darjeeling, ormai centianaia di chilometri alle nostre spalle.

Non è una destinazione popolare il Jaldapara National Park, nella parte alta del West Bengal, ed è facile capire perché. Se il nord-est indiano è riconosciuto come una delle regioni più ricche a livello naturalistico, sia per la sua fauna che per la sua flora, questo parco in particolare vive un po’ all’ombra dei grandi Patrimoni dell’Umanità UNESCO, che più avanti portano alto il nome di quest’area. Il Kaziranga National Park è oggi una delle più importanti riserve al mondo per i rinoceronti in Asia, e altrettanto protetto è il santuario del Manas. Entrambi i parchi, situati nello stato dell’Assam, sono la casa di decine di specie a rischio estinzione, tra cui tigri, leopardi, e bufali d’acqua. Il Jaldapara però non è da meno, anche se nessuno sembra saperlo.

Madarihat è la porta d’accesso al parco nazionale e nonostante le informazioni a disposizione fossero poche e confuse, sembrava una tappa ideale nel nostro itinerario verso gli stati del nord-est, sia per fuggire, per alcuni giorni, ai clacson della città, sia per cercare, per la prima volta, di vedere da vicino il rinoceronte indiano, anch’esso in estinzione, che qui vive nella seconda popolazione più grande, dopo il Kaziranga.

Un uomo che sembra appena essere stato rilasciato dal più vicino penitenziario si presenta alla stazione offrendoci un passaggio per 100 rupie con il suo pulmino rosso sangue. A Madarihat scopriamo esserci più possibilità per dormire del previsto. All’interno del parco esiste una sola struttura, mentre all’esterno due o tre guesthouse sono spuntate vicino all’ingresso. Tra queste il Tourist Lodge è la più organizzata, ma dati i prezzi chiediamo all’amico che ci ha portato se conosce qualcuno da cui spendere meno. E gli indiani conoscono sempre qualcuno. Dopo un giro di telefonate sottovoce e losche trattative per commissioni, al grido di “no problem!” veniamo portati in una guesthouse dove gli sguardi dello staff fanno capire che siamo i primi stranieri a passare di qui dal 1963. La camera è una doppia doppia, cioè una doppia con due letti matrimoniali. È nel sotterraneo, con una piccola finestra dalla quale si può ammirare una mucca pascolare tra l’immondizia. Un po’ di insetti vengono scacciati per fare posto agli ospiti e dopo alcune strette di mano degne di Wall Street l’affare è fatto, 200 rupie a testa.

Al Satyam Lodge scopriamo presto che non siamo gli unici qui per osservare le strane specie animali presenti. Sono proprio gli indiani che incuriositi dal comportamento dei nuovi arrivati, fanno di tutto per studiare da vicino l’uomo bianco. Ogni sette minuti circa, qualcuno bussa alla porta, con una domanda inutile, per cercare un contatto. “Volete un tè? Un caffè? Avete fame? Vi serve qualcosa? Tutto bene? Come va? Cosa fate oggi? E domani? Dove andate dopo?”. Ogni volta, ad accompagnare il questionario vi è una squadra di quattro persone che dal retro si stendono e si allungano per avere una vista migliore sulla camera degli occidentali.

Un’abitante del villaggio di Madarihat

Il Jaldapara, nonostante sia riserva protetta dal 1941, è diventato parco nazionale solo nel 2012. In tutta l’area del parco è vietato circolare a piedi essendo reale il pericolo di contatto con i grandi animali di questa foresta. Per questo l’unico modo di visitare la giungla è su un elefante oppure su una jeep. Dal Satyam Lodge, dopo aver parlato con alcune persone del luogo, capiamo che vale la pena investire in una notte al Hollong Lodge, l’unica struttura basata nel cuore del parco, da cui è promesso l’avvistamento dei rinoceronti direttamente dalla finestra.

Arrivati al nuovo lodge, le prime ore passano lente, con alcuni bufali che si avvicinano all’area, oltre ad un paio di elefanti liberi e una lunga serie di uccelli che circolano nell’aria, ma le speranze di vedere i rinoceronti diventano sempre più magre all’avvicinarsi della sera. È giusto così, d’altronde, avvistare animali in libertà dovrebbe essere difficile, quasi impossibile se a rischio estinzione. Ma mi ricredo durante l’ora di cena, quando una guida corre nella sala ristorante, chiamandoci fuori. Usciamo rapidamente ed in silenzio giriamo l’angolo dell’edificio, per trovarci a pochi metri di distanza da un enorme rinoceronte fermo a mangiare nel giardino. La luce fioca della torcia della guida illumina la pelle ruvida dell’animale che non sembra curarsi degli spettatori. Lunghi minuti passano in silenzio ad osservare la bestia che circola lentamente a pochi passi da noi, fino a quando non ci accorgiamo che poco più avanti, in una piana sulla quale il resort si affaccia, un altro gruppo di rinoceronti, grandi e piccoli, si è riunito. Nel buio della notte, il fascio di luce rende solo un’idea di cosa sta succedendo, ma è quanto basta per rimanere a bocca aperta.

Il rinoceronte indiano conta solamente 3.000 esemplari rimasti, di cui 2.000 vivono in Assam. I restanti si dividono tra questa regione del West Bengal e il Nepal, alle pendici dell’Himalaya. Queste bestie corazzate sono seconde, in Asia, solamente agli elefanti per dimensione ed un maschio adulto può arrivare a pesare 4.000 kg. A differenza dei rinoceronti africani, quello indiano si presenta con un solo corno, che comincia a crescere solamente dai sei anni in poi. Questo corno è purtroppo anche la principale causa di morte di questa specie, che un tempo era presente anche in Pakistan, Birmania, Buthan, e Cina meridionale, data il suo valore per i bracconieri che ne continuano la caccia ancora oggi. Nonostante le misure di protezione infatti non è raro leggere sui quotidiani locali di rinoceronti trovati morti e mutilati nei parchi nazionali, con con corni amputati diretti in Cina o Vietnam, dove si crede che questo sia una cura per il cancro ed è pagato migliaia di dollari al pezzo, soldi che in India non si guadagnano in una vita intera.

All’alba decidiamo di visitare l’interno della giungla in elefante. Dopo una brutta esperienza a bordo di elefanti in Thailandia, non sono rimasto molto propenso a questo genere di esperienze animali. Nonostante sia un po’ dubbioso riguardo il trattamento riservato a questi animali quando ci sono di mezzo i turisti, al Jaldapara non c’è molta scelta, non essendo presenti all’interno del parco strade o sentieri percorribili su ruota. Per fortuna rimango sorpreso, in questo parco, ancora poco visitato e mantenuto con si dovrebbe, gli elefanti sono tenuti meglio degli ospiti. I mahout conoscono ogni animale come fosse proprio, e dopo un’ora di safari questi vengono, ogni giorno, restituiti alla foresta dove vengono lasciati in pace. Le guide stesse non sono i soliti operatori del turismo indiani, ma esperti ed appassionati del proprio lavoro, che riescono qui a seguire impronte, comunicare, e muoversi d’istinto fino ad incrociare altri rinoceronti, bisonti indiani, cervi, serpenti.

E così, dopo una caccia (in cui l’unica arma è la macchina fotografica) ai rinoceronti conclusasi con successo, ripartiamo in direzione Assam e Meghalaya, pensando che per quanto sia stato bello poter visitare una zona ancora incontaminata dal turismo di massa, sarà proprio il turismo a salvare questo luogo dagli interessi economici di chi preferirebbe ripulirlo dai suoi abitanti.