L’India Meno Battuta: il Nord-Est

Sono diversi i motivi per cui nessuno sembra inserire il nord-est dell’India nel proprio itinerario. Alcuni, come le lunghe distanze che è necessario percorrere per chi atterra a Delhi o Mumbai, sono più che giustificati, mentre altri, come la necessità di richiedere permessi speciali per accedere ad alcune aree o il pericolo di terrorismo che in passato questi stati hanno dovuto portarsi sulle spalle, sono più un limite che si sceglie di imporre a sé stessi.

È vero, dalla parte alta del West Bengal in poi l’accessibilità si riduce e con tutto ciò che l’India ha da offrire bisogna partire con una certa motivazione per inoltrarsi più in là di Darjeeling. Chi si deciderà ad abbandonare i percorsi meno battuti però, sarà sicuramente ripagato.

Quando si parla di nord-est si includono solitamente, oltre alla parte superiore del West Bengal e il piccolo stato del Sikkim, quelli dell’Assam, Meghalaya, Tripura, Mizuram, Manipur, Nagaland e Arunchal Pradesh. A questi ultimi sette stati Lonely Planet dedica complessivamente circa 30 pagine, quando alla sola città di Delhi ne spettano quasi 45, dato che rende bene l’idea dell’importanza data a questa regione dal mondo del turismo. Perché allora questo territorio è così interessante da visitare? Perché il nord-est non è l’India come la conosciamo. Racchiuso tra Nepal, Tibet, Buthan, Bangladesh, Birmania questo è forse l’unico angolo di territorio ancora verde, incontaminato, dove la plastica a bordo strada appartiene solo alle maggiori città, dove i treni sono spesso semivuoti e dove ancora non è chiaro alla gente come si fregano gli stranieri. Culture himalayane si incontrano a gruppi tribali mai entrati in contatto con la civiltà moderna, una fauna in buona parte in estinzione vive in foreste che finiscono alla base delle vette più alte del mondo. Decine di lingue differenti si parlano da queste parti, e più ci si allontana dalla parte continentale del paese, più si abbandona l’induismo per trovare cristianesimo, grandi comunità islamiche e villaggi animisti.

Il primo problema che ci si pone quando si decide di andare a conoscere questa parte di mondo è quella dei permessi. Per alcuni degli stati del nord-est infatti il regolare visto turistico indiano non basta, ed è necessario, per ogni stato che lo richiede, presentare un permesso speciale. In stati come il Sikkim, meta popolare tra i trekkisti, si dice che questa sia nient’altro che una formalità, ma più ci si dirige ad oriente e più questo pare difficile da ottenere per il semplice turista di passaggio. Se la burocrazia indiana è già per conto suo un grosso freno sugli itinerari conosciuti, qui, dove di stranieri non se ne vedono, decidere di lasciar perdere e cambiare direzione è un attimo. Ma anche un’errore, perché seppure entrare in Arunchal Pradesh, Nagaland, Mizuram e Manipur può diventare complesso, per l’Assam, il Meghalaya e Tripura l’accesso è libero. Questi tre stati da soli, uniti al West Bengal, hanno già talmente tanto da offrire che costruire un percorso su di essi è un modo ottimo per conoscere questa regione.

Si parte verso nord dalla seconda città dell’India, la sporca Calcutta da dove il Darjeeling Mail, il treno verso le colline, raggiunge New Jalpaiguri. Da qui si sale solo con una jeep, che una curva dopo l’altra raggiunge la capitale indiana del tè. Il tè di Darjeeling è il più rinomato al mondo, ma non è solo per camminare tra le piantagioni verde bottiglia che si visita questa località a duemila metri d’altezza. Questa è una base importante per la comunità tibetana in esilio e la casa dello sherpa che per primo, insieme a Edmund Hillary, ha raggiunto la vetta dell’Everest. Tenzing Norgay ha fondato qui il primo centro alpinistico a suo nome da qui si organizzano le spedizioni in Sikkim. A Darjeeling si scappa dall’afa e dai curry che si scambiano per i momo, ma qui è anche dove ci si lasciano alle spalle gli altri turisti che di rado proseguono più a est.

Darjeeling

Tornando a Siliguri si sale sul treno che in quattro ore porta a Madarihat, dove il poco conosciuto Jaldapara National Park è casa di bisonti, elefanti, schivi leopardi, ma soprattutto gli ormai rari rinoceronti indiani che qui sono protetti. Più avanti, si incrocerà il fratello più famoso del Jaldapara, il Patrimonio dell’Umanità Kaziranga National Park, che ospita la più grande popolzione di questi animali, anche se questo non apre prima di Novembre, a causa del monsone che in una delle regioni più piovose al mondo lo rende inagibile durante l’estate.

Proseguendo per Guwahati si entra nel nord-est vero e proprio. La capitale dell’Assam con il suo milione di abitanti non è un luogo particolarmente interessante, ma è lo snodo principale qualunque sia la direzione per la quale si scelga di proseguire da qui in poi. Gli sguardi sugli stranieri qui si fanno pesanti e può diventare difficile trovare un hotel economico disposto ad accogliere i visitatori. Questo è un problema a cui ci si troverà di fronte spesso in questa area, ma non solo: agli hotel indiani ogni volta che un turista straniero decide di soggiornare è richiesto di riempire una lunga serie di moduli, ai quali vanno allegate fotocopie del passaporto, il tutto da inviare entro il giorno successivo alla polizia. Questo è un processo burocratico con il quale non tutti gli albergatori del nord-est, se non gli hotel di più alto livello, sono disposti a perdere tempo e per questo non è detto che si venga accettati. In città dove il turismo domestico è prominente può diventare una missione vera e propria trovare un posto dove stendere le ossa.

Da Guwahati partono autobus in ogni direzione. La tappa successiva, ai confini con il Bangladesh, è la città di Shillong, un centro moderno tra le colline del Meghalaya. Shillong si divide tra città vecchia e città nuova e se i negozi dell’area pedonale fanno perdere gli stimoli, basta mettere il naso nel mercato arroccato tra le strade intorno alla stazione dei Sumo per sentire gli odori che, nel bene e nel male, difficilmente mancheranno dal rimanere impressi. Se in un mercato del genere non si va per gli acquisti, sono le donne che scendono dalle colline in abiti tribali con neonati a tracolla e ceste in equilibrio sulla testa a renderlo un luogo curioso.

Il Meghalaya è tra gli stati che da anni chiede l’indipendenza dal resto del sub-continente e per questo può capitare di sentir discutere di gruppi estremisti che dimostrano il loro distacco dal resto del paese con atti violenti. Durante la mia visita, che capitava nei giorni della festività del Durga Puja, una bomba è stata lanciata all’interno di un negozio del centro. I locali però hanno più volte messo in chiaro di essere distaccati da queste azioni e molti ci tengono ad affermare che gli stranieri qui sono i benvenuti, ma i pazzi esistono ovunque. Qui, come già detto, non è necessario un permesso speciale, ma alcuni gruppi politici vorrebbero che questo si attivasse non solo per gli stranieri, ma anche per gli indiani provenienti da altri stati.

Da Shillong con un Sumo, le grandi jeep gialle che su queste colline sono il miglior mezzo di trasporto, si parte per esplorare gli altopiani di Cherrapunji, tra le quali colline vive l’ormai piccola popolazione della tribù dei Khasi. Questa è una regione che si visita d’inverno, quando i cieli si aprono e la foresta pluviale che ad ogni stagione si rinnova, è un ambiente eccezionale per camminare, tra cascate, torrenti e i famosi ponti viventi del minuscolo villaggio di Nongriat, che con le sue 34 case è il luogo migliore dove ammirare questo fenomeno della bio-ingegneria.

Tornando in Assam si segue il fiume Brahmaputra per raggiungere Jorhat. Sulla strada un altro parco nazionale si è guadagnato il titolo di Patrimonio dell’Umanità UNESCO, il Manas, anche se cercare di visitare tutti i parchi protetti tende ad incidere in modo pesante sul budget, date le poche strutture a disposizione e le alte tasse d’ingresso. Se i fondi a disposizione sono pochi, non c’è bisogno comunque di entrare in un parco per ammirare la natura dell’Assam. Da Jorhat il traghetto per Majuli, l’isola di fiume più grande al mondo, costa solo 15 rupie e impiega circa mezz’ora. Qui campi di riso colorano un paesaggio piatto e sulle rive del fiume ogni albero sembra specchiarsi sull’immensa massa d’acqua, che per quanto potente, appare immobile.

Si potrebbe proseguire ma un muro in questa direzione è inevitabile. A nord l’inaccessibile Tibet forma una muraglia di montagne bianche, mentra sud la Birmania si chiude a sé stessa e non intende aprirsi su un confine che negli ultimi tempi è stato ospite di scontri violenti. L’avventura però non si conclude, perché decine di ore su rotaie vecchie un secolo sono l’unica strada di ritorno, sulla quale ci si lascia alle spalle questo spicchio di mondo abbandonato a sé stesso.