Omaggio ai Posti Brutti

Esistono posti per i quali lunghi viaggi sono programmati appositamente, ce ne sono altri dai quali si passa per caso e si rimane a bocca aperta e ci sono poi quei luoghi da cui cerchiamo di stare in ogni modo alla larga, magari per brutta fama o perché poco attraenti. I posti brutti fanno parte di tutte e di nessuna di queste categorie. I posti brutti sono quelli sulla lista dei must see che poi si rivelano una delusione, sono le mete iper turistiche dove si è persa la cultura tradizionale, sono le località anonime in cui non c’è niente da fare e le destinazioni ostili dove i locali prendono in giro gli stranieri, sono gli autobus sporchi e le spiagge inquinate. I posti brutti sono tutti questi e molti altri, ma ciò che conta e che non ci si dimentichi di visitarli.

Viaggiare sarà per alcuni nient’altro che una pausa dal ritmo di casa, un periodo di stacco o di riposo, un modo per divertirsi e distrarsi, ma per coloro a cui l’amaca non basta seguire gli itinerari in base ai propri gusti significherà tapparsi gli occhi. Certo, tutti abbiamo delle priorità, delle preferenze. Ma viaggiare non è solo osservare, è anche cercare di interpretare, capire, dare un senso ai paesi che andiamo a toccare. E questi paesi sono fatti spesso in buona parte da posti brutti, bruttissimi. Andando a fotografare solo le attrazioni elencate sulle guide, oppure, molto, molto peggio, scartando le destinazioni famose perché troppo turistiche significa giudicare un paese per quello che vorremmo che sia, non per quello che è.

Prendi Phi Phi Island, con la sua spiaggia racchiusa tra alte formazioni rocciose stampata in gigantografia all’interno di ogni agenzia turistica della Thailandia. Un labirinto di prezzi quadruplicati, inglesi che si vomitano addosso, ragazze svedesi alte tre metri che si picchiano ubriache su un ring per vincere un altro bucket e famiglie di italiani che hanno fatto 20 ore di volo per andare a mangiare la pizza, ma solo se il pizzaiolo è italiano. Ecco, questo suonerà come puro divertimento ad alcuni e come una meta da snobbare per altri. Arriverà il vero viaggiatore, c’è sempre un vero viaggiatore, che vi dirà di lasciare perdere perché lui ha scoperto un’isola segrata con sette abitanti che è ancora come trent’anni fa. Se questa isola esiste dovreste andarci di corsa. Ma un’occhiata a Phi Phi Island datela comunque, perché la Thailandia è anche questo. È inutile cercare di convincersi che la Thailandia è una terra di risaie e pescatori bruciati dal sole, perché questa sarebbe solo una visione parziale di uno dei paesi più turistici al mondo e le spiaggie di Phi Phi, le puttane di Pattaya, il manicomio di Khao San Road sono ormai icone che vanno accettate. Trent’anni fa magari non era così, qualcuno dirà che alcuni luoghi sono stati rovinati, ma rimane il fatto che noi siamo qui, oggi per studiare un paese al suo stato presente. Chi crede che con il turismo si sia persa l’autenticità si sbaglia: il turismo è l’autenticità, per il semplice fatto che esiste. Giudicare è una chiusura che il viaggiatore non si può permettere, e per comprendere in modo completo una destinazione includere i posti brutti è essenziale, anche se non ci piacciono.

Ma i posti brutti non sono solo i posti che il turismo ha reso brutti. Ci sono posti brutti che sono proprio posti di merda senza che nessuno ci mettesse le mani. Le città dove non c’è niente se non palazzi grigi, i sobborghi in decadenza di un’area lasciata al suo destino. Prendi qualsiasi grande città indiana. Non le più conosciute, come Delhi, Calcutta o Mumbai, che qualcuno, sotto sforzo, un certo fascino potrebbe anche trovarcelo, ma quelle secondarie, come Ahmedabad o Hyderabad che racchiudono milioni di abitanti in un unico, grande, clacson permanente. Città in cui mai ti fermeresti se non per cambiare treno. Questi sono luoghi che scatenerebbero la furia omicida di qualunque visitatore, ma sono l’India. Sono l’India reale, uno dei paesi in più rapida crescita al mondo, della gente che lavora e di quella che fa l’elemosina, della spazzatura che viene prodotta troppo velocemente per essere nascosta, delle persone che dei turisti non sanno che farci. Non ci sono attrazioni che valgano decine di ore di treno e sono troppo grandi per rendere ogni movimento semplice. Ma sono una rappresentazione chiara e onesta di una parte importante di ciò che è questo paese in corsa.

I posti brutti sono tutti i posti scomodi, i luoghi dove non ci troviamo a nostro agio. Dove non vorremmo essere arrivati ma dai quali non si può scomparire. Sono i posti che ci mettono a confronto con i nostri limiti e ci insegnano ad uscire dalla nostra zona di comfort. Sono i luoghi in cui stringiamo i denti per un giorno in più o chiudiamo gli occhi e ci tappiamo il naso, ma che ci rendono un po’ più pronti – e magari abituati – alla prossima volta che verrà. I posti brutti ci insegnano a viaggiare meglio e sono l’inaspettato che non aspettiamo. I posti brutti aiutano a mettere una cultura in prospettiva e anche se per visitarli di proposito non sempre si ha la motivazione, quando ci capitiamo per caso, forse, potremmo provare ad apprezzare la dimensione che ci regalano.

  1. La mia medaglia d'oro del posto più brutto la vince Ciudad del Este in Paraguay. E' il più grande mercato di elettronica (ma in realtà di tutto) nel Sud America. La gente va solo per comprare e poi scappa subito. Davanti a ogni negozio un guardia con fucile a pompa in mano, pronto all'uso. Sembra di vedere l'Asia nel bel mezzo del Sud America: palazzoni di cemento enormi coperti di cartelli pubblicitari, negozi e bancarelle ovunque, spazzatura in ogni angolo. Per motivi di visto i cinesi non possono trasferirsi, quindi il business resta in mano ai locali. Il mercato apre alle 6:00 del mattino e chiude alle 14:00. Prima e dopo sembra una città fantasma dove non trovi neppure una birra per strada! Brutto, anzi bruttissimo posto. Però interessante, parte della vita latino-americana. Argentini, Brasiliani, Uruguaiani, Cileni…tutti vengono qui per comprare, caricare la macchina e scappare…! Alla fin fine, ci sono andato di proposito e mi è anche piaciuto vederlo.

  2. Oooh, io amo questo pezzo!! un po' di mesi fa cercavo di spiegare lo stesso concetto ad un 60enne occidentale che ha smesso di viaggiare perche' "al giorno d'oggi non e' rimasto piu' niente della cultura autentica dei luoghi"… Sta "cultura", manco fosse merluzzo…sai, vai al mercato, e' finito il pesce e dici "Eh, non c'e' piu' merluzzo", e' inopinabile, no? o c'e' o non c'e', lo vedi da solo. La cultura uguale, vanno li, non trovano quello che volevano e "Non c'e' piu' cultura". E allora non vale neanche la pena di uscire dal proprio paese… E dire che questo aveva viaggiato per decenni in lungo e in largo, quando "la cultura era ancora viva"! Ora e' morta… Si, guarda, sara' collegato alla crisi del merluzzo in nordamerica, co***one…

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