Il Travel Blogger Non è un Lavoro

Il travel blogger non è iscritto ad un albo. Non è iscritto ad alcun registro, non ha una qualifica particolare. Non ha bisogno di esperienza per cominciare, raramente ha una partita IVA o riceve una busta paga. Non è un professionista. Significa questo che fare il travel blogger non possa diventare un lavoro? In teoria no, perché lavoro, ai nostri tempi più che mai, è un termine generico che non è definito dai documenti di cui ci si trova in possesso. Il lavoro è qualsiasi attività, impiego, tramite il quale ci si guadagna da vivere e se qualcuno riesce a farlo in modo creativo, costruendosi degli schemi differenti da quelli tradizionali, ben venga. La possibilità esiste. Ma lasciando la teoria da parte, in quanti realmente hanno fatto dello scrivere di viaggi (su un blog) il proprio lavoro?

Giudicando da Twitter in molti. Basta passare qualche minuto ad aprire profili collegati in qualche modo al mondo del turismo o dei viaggi per trovarsi di fronte a decine, centinaia, (migliaia?), di #travelblogger. Inesistenti sono invece #operai, #dentisti, #commesse o #muratori, attività che nessuno sembra più svolgere. Neanche se c’è crisi. È vero, per essere travel blogger, e avere quindi diritto al rinomato titolo, solo due requisiti sono necessari: avere un blog, aver fatto dei viaggi. Non importa guadagnarci. Non importa farlo a tempo pieno. Non importa neanche essere bravi. Ora, pur non volendo togliere a nessuno la libertà di autoproclamazione e la grande soddisfazione che ne consegue, viene, però, da pensare che con il poco spazio a disposizione uno cerchi di scegliere il termine più accurato per descriversi e se tra tutti questo è proprio #travelblogger significa che ci sarà anche qualcuno che svolge questa attività otto ore al giorno e per più di qualche like.

Quindi il travel blogger è un lavoro? No, non proprio, almeno per come la vedo io. Per dare una spiegazione più chiara c’è un concetto che vorrei far passare: guadagnare da un travel blog e guadagnare per mezzo di un travel blog sono due cose molto diverse. Prendiamo, ad esempio, un comico o l’editore di una rivista. Queste figure ricevono uno stipendio per fare intrattenimento o informazione (quello che nel suo piccolo cerca di fare un blogger) e il loro impegno sta tutto nel creare continuamente nuove idee e materiale valido. Se sono bravi più persone ascoltano e l’azienda, lo sponsor o chiunque gli abbia dato fiducia, paga. È scontato dire che per i blog non funziona così? Non funziona mai così. Non ci si dovrebbe aspettare l’arrivo di uno sponsor a lungo termine che, come può succedere all’estero, dica “sei bravo, mi piace quello che crei, voglio che la tua faccia sia legata alla mia”, ma più l’arrivo di uno sponsor che dica “va bene, hai dei numeri, scrivi di me e ti pago”. Che va bene lo stesso, ma allora non sei pagato per fare il travel blogger, sei pagato per vendere pubblicità. Non sei pagato per scrivere quello che pensi, ma quello che ti viene chiesto di pensare.

L’aspetto morale, il codice etico, dei blogger non esiste. Ognuno fa quello che vuole, non ci sono regole, solo esperimenti andati a buon fine. E pretendere che tutti scrivano in modo genuino dopo aver capito come funziona il gioco non è realistico. Non c’è niente di male. Quando si comincia a sentire l’odore dei soldi facili (che sono pochi, ma sono facili) è un attimo cominciare a muoversi in modo diverso. Strategie, le chiamano, per far diventare quei pochi soldi facili tanti soldi facili, che nella maggior parte dei casi sono legati ai numeri, che a sua volta, nella maggior parte dei casi, non hanno niente a che fare con la qualità del contenuto. È vero anche che saper monetizzare in modo consistente è probabilmente più difficile che saper scrivere bene, molte di più sono le cose su cui ci si deve concentrare e perdere tempo e c’è solo da complimentarsi con chi riesce davvero ad inventarsi un lavoro dal niente. Un lavoro che però non è il travel blogger, è qualcos’altro.

Chi scrive sa che non arriverà mai uno sponsor singolo a pagare lo stipendio (come può succedere all’estero), tanto quanto sa che su internet l’unico modo per mettere insieme una cifra consistente è ottenere entrate minori da fonti multiple. Questo è possibile in molti modi, la pubblicità è il primo, ma c’è anche la creazione di prodotti o altri sistemi meno remunerativi. Tutti metodi legittimi, ma è necessario essere chiari: nessuno di questi è legato in modo diretto a ciò che scriviamo. La pubblicità arriva dai numeri, le vendite di prodotti dalla reputazione, tutti derivati degli articoli, ma solo in parte. Chi si presenta con una bella grafica è un passo avanti. Chi passa le giornate su Facebook e Twitter raggiungerà molte più persone. Chi sa come farsi trovare su Google è in vantaggio. Più conoscenze si hanno a disposizione più facile sarà crescere, ma una volta raggiunta l’esposizione massima saranno sempre le attività secondarie a rendere, non i post che continuiamo a scrivere. Per questo il travel blogger non è un lavoro: nessuno compra le nostre idee, le nostre opinioni, le parole che scegliamo. Piuttosto sono i lettori che sono in vendita o, peggio, il rapporto che con questi siamo riusciti a creare.

Il blog si può quindi considerare un prodotto? No, per chi punta alla pubblicità come entrata primaria il prodotto sono i lettori, ciò che si vende è il pubblico alle aziende o gli enti che scelgono di comprarne una fetta.

La mia suona come una critica, ma non lo è (va bene, solo un po’). Creare una piattaforma originale e costantemente interessante è una missione difficile, in particolare quando si parla di viaggi. Continuare a muoversi, cercare destinazioni e storie nuove, offrire spunti di valore e soprattutto farlo per passione e curiosità proprie è un grande impegno. Un impegno piacevole e appagante certo, ma pur sempre un impegno che costa soldi, tempo e, a volte, fatica. Cosa c’è di male ad inserire occasionalmente della pubblicità nel proprio sito? Niente, finché non è questa a dettare la qualità del contenuto. Qualsiasi lettore intelligente è in grado di capirlo ed accettare il compromesso che è necessario fare se si vuole continuare a migliorare, offrire materiale sempre buono. Il problema è quando a questo sistema ci si piega e ciò che si scrive non è più per chi legge, ma per chi offre qualcosa in cambio. Ma come capire dove si tira la linea tra un buon compromesso e un blogger venduto? Non si può, perché in questo gioco non ci sono regole e nessuno può dire come è opportuno comportarsi e tutti dovrebbero provare, sperimentare e capire sbagliando cosa funziona e cosa no. Il travel blogger non è un lavoro.

Nel dubbio continuo a pensare che il modo migliore per fare di un blog il proprio lavoro rimanga la vendita di prodotti propri. Il modo migliore non sarà forse il più redditizio, ma sicuramente il più trasparente, onesto, chiaro. E soddisfacente. Che sia questo un ebook, delle fotografie, delle magliette, o anche un evento, un abbonamento, un viaggio organizzato non importa: attraverso un blog indipendente si possono mostrare le proprie capacità a tutti per quello che sono, si comunica senza secondi fini, e se chi legge apprezza è probabile che decida che i prodotti che vendiamo valgono i soldi che costano. Vuoi mettere trovarsi ad aver venduto mille copie del proprio eBook, invece che dover scrivere del miglior hotel di Marina di Pisa dove non andrebbe neanche mia nonna perché qualcuno ti dà 30 euro o ti invita per un weekend a scrocco?

In ogni caso, la prossima volta che vi trovate a descrivere cosa fate, scegliete le parole giuste. Se avete scritto una guida mettete #scrittorediviaggi. Se guadagnate grazie a Youtube, mettete #videomaker. Se volete diventare giornalisti, scrivete #aspirantegiornalista. E infine, se la vostra principale qualità è promuovere tutto quello che vi viene chiesto di promuovere, mettetelo nero su bianco: #vendofollower.

  1. Sì hai fatto centro, hai colto il nocciolo della questione! La differenza é tra lo scrivere per chi ti legge e lo scrivere per chi ti paga (o ti dá qualcosa in cambio).

  2. Oh la! Finalmente uno che lo dice! E chi poteva esserlo, se non tu? Mi è sempre stato ovvio, ancor prima di cominciare, che per pubblicare qualcosa su internet (qualsiasi cosa) a qualche punto sarebbe stato necessario accettare compromessi tra la propria integrità e il proprio (necessario) portafogli, ma quando vedo quale materiale viene spesso propinato sotto l'etichetta #travelblogger, e come, sono sempre più lieto di non essermi MAI definito tale.

    Avanti così, Angelo!

    1. Eheh..grazie Wil. Ci sono tantissime possibilità credo per trasformare le proprie passioni in un lavoro, ma a volte ci si fa fregare dalle opportunità che fruttano nell'immediato ma che sul lungo termine fanno più danni che altro. Ma se non si prova non si può sapere!
      Ciao!

    2. Sbagli a non definirti tale perche lo sei invece, viaggi e scrivi su un blog = travel blogger. Purtroppo l'immagine che in italia che si ha di questo personaggio è esattamente quella che tu, come angelo, non rappresentate (quella reale ed autentica).

      Vengono considerati travel bloggers (si vendono tali…vendersi è parola non scelta a caso) quelli che: recensiscono hotel, fanno foto ai piatti del ristorante che li invita a scrocco, viaggiano gratis in cambio di posts, vendono tweets e retweets e likes come genuini quando, ahime, non lo sono.

      Considerati un travel blogger e pure uno bravo. Perche se non lo fai te, loro svaluteranno questa figura che non è una professione ma che dovrebbe assolutamente essere valutata per quella che è: conoscitore di destinazioni e occhio attento sul mondo.

      Cheers!

      1. Io ti ringrazio molto per avermi dato del "travel blogger, e pure bravo", Giulia, ma continuo a non considerarmi tale, non te la prendere 🙂

        E questo per due motivi: il primo è quello che hai detto anche tu, l'immagine del travel blogger in Italia è quella che è, e poco conta che io o Angelo o tu o chicchessia ne incarniamo l'anima autentica. Ormai il nome è sputtanato.

        Il secondo è che non mi reputo un conoscitore del mondo. Mi sono sempre visto più come un raccontatore di storie o l'uomo degli aneddoti, più che un articolista di viaggi. Il viaggio in quanto tale è quasi sempre il palcoscenico in cui avvengono le mie storie, mai il protagonista. La causa, non l'effetto.

        E non è un caso infatti che gli articoli più letti e apprezzati del mio blog abbiano a che fare con la vita, con la ricerca della felicità, con il coraggio e la paura di cambiare, etc…

        Ho più probabilità di diventare un motivatore, più che uno scrittore di viaggi 🙂

        1. Il nome alla fine è solo un nome, significa poco senza vedere cosa c'è dietro. Giulia in parte ha ragione, se uno a un blog è un blogger, non importa a che livello. È come se giochi a calcio in serie A o negli esordienti, rimani un calciatore. Essere bravi poi è qualcos altro. Però capisco anche il non volersi etichettare con un nome usato per la spazzatura, è meglio mantenere le distanze.

  3. Io probabilmente non mi ritrovo nella categoria degli utilizzatori "medi" di Internet, quelli che sono il target delle campagne pubblicitarie e di marketing. Nelle ricerche di Google non clicco mai sui link sponsorizzati e nemmeno sui vari banner che compaiono ovunque. Ma se in fondo a un bel post che mi è piaciuto c'e' un link affiliato ad Amazon (per esempio) non ho problemi ad usarlo per un eventuale acquisto. Se mi fido di chi scrive, se ho la sensazione che lo faccia bene e senza secondi fini, perchè non aiutarlo a continuare quello che fa, visto che lo sta già facendo gratis (e forse da molto tempo)? Io non sono un esperto di marketing e comunicazione, ma non voglio credere che il lettore "medio" sia così "scemo" da non accorgersi di leggere uno spot pubblicitario. Se parliamo di viaggi, un elogio ad un particolare ristorante/hotel/tour operator non ha senso in un blog visto che ci sono già i vari TripAdvisor a coprire quello spazio. E' lo stesso concetto della pubblicità in TV e poi su Internet: all'inizio fu il boom, funzionava davvero vista la novità. Ma poi sul medio periodo ci si abitua al bombardamento degli spot, così come alle decine di pop-up banner su Internet. Non hanno più lo stesso effetto. Così come continuare a scrivere ma senza inserire valore nella parole, presto otterrà lo stesso effetto. Da circa tre anni seguo tanti blog di viaggi, ma nel tempo quelli che leggo davvero si sono ridotti moltissimo. All'inizio parlavano di viaggi veri, posti lontani, davano il punto di vista di un viaggiatore Italiano che è molto diverso da quello di uno straniero. Poi, neanche troppo lentamente, il newsfeed che mi portava in giro per il Mondo ha cominciato a riempirsi di "che bello questo hotel" o "come ho mangiato bene qui" o "questo tour operator è il massimo": interesse pari a zero. Ma forse sono io a non essere il lettore "medio".

    1. Ciao Valerio, grazie per il commento. Sono d'accordo al 100%. Anzi, facciamo al 99%, perché credo che comunque chi un blog ce l'ha, come te, è più predisposto a notare queste cose sapendo come funziona, mentre chi è fuori dal gioco anche passando molto tempo su internet alcuni dettagli non li nota. Per il resto la pubblicità non è un peccato di per sé, anzi, può contribuire a migliorare il sito. Ci vuole una selezione però. Amazon ad esempio è diverso a mio parere. Se in ogni post mi metti dieci link affiliati forse la stai tirando troppo per le lunghe, ma se ad esempio mi consigli dei libri su una destinazione che hai letto personalmente (per fare un esempio), ben venga il link, in fondo stai dando un servizio vero e proprio, su qualcosa di ricercato. Siti come Nomadi Digitali o No Borders Magazine che consigliano un sacco di bei libri e risorse utili fanno un buon lavoro sotto questo punto di vista e se prendono la commissione buon per loro, oltre che per me, perché significa che con quei soldi possono comprare più libri/prodotti da poi consigliarmi.

      Per quanto riguarda altri tipi di pubblicità credo si debba anche essere onesti con se stessi. Come ho detto, un compromesso ci sta e anche il lettore medio lo capisce che non si vive d'aria. Se è limitata alla buona occasione quando questa capita è un vantaggio, ma se tutto il sito viene impostato per accogliere più annunci possibile è diverso. Dirò di più, il brutto è che in Italia la pubblicità sui blog è sempre subdola, sempre un link tra le righe o qualcosa del genere, sempre per fini indiretti, come il SEO. Se la pubblicità fosse più chiara, ad esempio un banner laterale legato a ciò di cui si scrive, sarebbe già un discorso diverso, non avrei problemi ad inserirlo, come accade sui riviste e giornali.

      Stesso discorso per le recensioni, c'è modo e modo. Dipende a che viaggiatore ci si rivolge, sicuramente per alcuni sono d'aiuto. Per come viaggio io non so che uso farne dato che la mia unica preoccupazione è spendere il meno possibile per viaggiare il più a lungo possibile, ma non per tutti è così. Credo comunque che se si recensisce un luogo interessante non solo per il rapporto qualità/prezzo potrebbe venire fuori un buon lavoro. Ad esempio in pochissimi parlano di ostelli o di strutture alternative per dormire, magari inserendole in una storia invece che la solita recensione fredda e impersonale.

      Dopo tutto questo, finché c'è chi legge ci sarà chi scrive, l'unico giudice è il lettore!

  4. Ciao Angelo, sono la dimostrazione che il buon passaparola umano funziona ancora. Infatti sono approdata qui grazie alla segnalazione di un'amica alla quale avevo telefonato, dopo l'ennesima reazione da prima donna di una blogger estera che mi aveva creato una situazione spiacevole con un cliente. Entrambe, alla fine, siamo arrivate alla conclusione che oramai un blogger, proprio perchè vive anche di recensioni ad hotel, piuttosto che a ristoranti eccetera, ha perso in parte la propria libertà iniziale per trasformarsi in qualcosa d'altro. Cosa ancora non lo so, il mio blog è piccolo, giovane e settoriale (si occupa di una destinazione sola). Ma una cosa, che fra l'altro hai ben scritto tu, mi è stata chiara fin dall'inizio: non avrei mai potuto vivere direttamente dal mio blog, bensì solo da attività che arrivavano in via indiretta, quindi prodotti, come li chiami tu, diversi. E credo che sia così che ho deciso cosa offrire e su cosa specializzarmi. Mi occupo di comunicazione da 14 anni eppure non riesco a tollerare le quintalate di pubblicità sui vari blog personali. Lo so, capisco, si deve campare in qualche modo. Anche io ho appena accettato di pubblicare un guest post, sul mio blog, con la differenza che ho letto prima il contenuto. Anche io a volte scrivo bene di un ristorante, però di norma pago e scrivo solo se mi piace. E infatti non sono famosa, non ho tanti followers semplicemente perchè non li ho comprati a chili e scrivo quello che mi pare. E il mio lavoro non è fare la travel blogger! Il mio blog è solo mio, è la mia voce personale, il mio spazio. ps: il tuo blog è proprio bello:))

  5. Ciao,

    ho iniziato da poco a tenere un blog, soprattutto per condividere le mie esperienze zaino in spalla, ma anche per farmi conoscere e pubblicizzare il mio ultimo libro.

    Non appena mi sono guardata intorno, ho notato subito che alcuni travel blogger scrivono post, a volte con evidenti errori di ortografia, solo ad uso dei motori di ricerca, gettando alle ortiche la filosofia di essere li per aiutare altri viaggiatori a organizzarsi.

    Sono molto orgogliosa del fatto di scrivere solo di esperienze vissute, e pagate, in prima persona, consigliando alberghi piuttosto che itinerari testati da me e dalla mia famiglia. Viaggio da sempre e da quando sono mamma di due bambini non è cambiato assolutamente nulla: vado ovunque, senza correre troppi rischi, ma ovunque.

    Mi fa piacere scoprire che ci sono persone che la pensano come me! Complimenti per il post!

  6. Penso che si uno fa un blog per la semplice ragione di raccontare come farebbe ad un amico una esperienza di viaggio no dovrebbe pretendere di guadagnarci qualcosa,come d'altronde non farebbe con un amico.Lo fa per passione pura.Altrimenti la "passione"si commercializza e diventa……

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