Dispacci dalla Strada #14: Tashkent

Dopo più di un mese lascio il Kyrgyzstan. Da Bishkek, dove ho aspettato fin troppo a lungo, un taxi condiviso porta a Osh in una decina di ore e da Osh un’altra macchina copre i quattrocento chilometri che separano da Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, dove mi trovo al momento della scrittura. Non intendevo fermarmi così a lungo in Kyrgyzstan e nonostante siano stati trenta e più giorni di grandi sorprese di cui non sempre ho memoria, non è mai stata una scelta voluta. Avevo al massimo due settimane a disposizione e per colpa della burocrazia di questa parte d’Asia, che predispone così bene ogni bocca al servizio della bestemmia, ho sforato non di poco. E non ho più tempo.

Per la prima volta ho una data di scadenza. Sapevo di dover procedere più velocemente per poter rientrare in Italia entro Settembre, ma i calcoli sembravano essere giusti con un paio di settimane in Kyrgyzstan, una decina di giorni in Uzbekistan, il transito rapido in Turkmenistan, poi ancora una quindicina di giorni in Iran per concludere superando Turchia e Grecia in una tirata, che tanto posso sempre tornarci. Non tanto tempo quanto vorrei, ma abbastanza. Credevo. Non avevo fatto i conti con i visti, o meglio, li avevo fatti ma non ero andato neanche vicino a quella che si è rivelata la realtà.

Il Kyrgyzstan, che ha iniziato a capire che il turismo è una cosa buona, ha aperto le porte a tutti. All’arrivo si ottengono 60 giorni di permesso gratuiti. Per l’Uzbekistan invece è un po’ più complicato, serve una lettera da un’agenzia che contatta il Ministero degli Affari Esteri uzbeko per ottenere un codice a tuo nome con il quale poi si va all’ambasciata e si ottiene il visto. Il visto però ha delle date specifiche d’ingresso e d’uscita, che non devono necessariamente essere rispettate, ma si può entrare ed uscire solo tra le due. Chiedo così il visto uzbeko a Bishkek, capitale del Kyrgyzstan, con l’idea di farlo partire il 12 Luglio, per la durata di un mese. Dopo l’Uzbekistan c’è il Turkmenistan, che è la Corea del Nord dell’Asia Centrale. Una dittatura che non vuole turisti in giro per il paese a rompere le palle. Così il Turkmenistan concede solo un visto di transito di tre o cinque giorni, che si utilizza per attraversare il paese lungo un’itinerario fissato (una strada nel deserto), dalla quale non si può, in teoria, deviare per visitare alcun sito.

Ora, per ottenere il visto turkmeno bisogna provare di essere in transito, quindi mostrare una prova delle tappe successive, quindi avere già il visto per viene dopo, quindi chiedere il permesso iraniano. A inizio Luglio faccio richiesta tramite un’agenzia di Bishkek per una lettera dal Governo iraniano che mi inviti nel paese. Con questo invito posso andare in ambasciata e raccogliere il visto in un giorno solo. Quanto ci mette però la lettera ad arrivare non si sa. Passa una settimana. Ne passano due. Riesco a posticipare la data d’ingresso del visto uzbeko al 17 quando lo vado a prendere in ambasciata, ma quando il 17 arriva del visto iraniano non c’è ancora ombra. Aspetto un mese intero, durante il quale torno più volte in agenzia, ma nessuno ha spiegazioni, è colpa del Ministero che è incontattabile. Ogni giorno è un “arriverà domani” e così ogni giorno è sprecato in ostello, pronti a partire ma sempre fermi come un sasso.

Arriva il visto, e arrivo a Tashkent. È già il primo Luglio, mi rimangono solo 14 giorni sul visto uzbeko, e devo ottenere il visto di transito turkmeno il prima possibile. Ma non ci vorrà molto, è solo un visto di transito. E invece no. Secondo chi lo ha fatto servono altri dieci giorni per ottenere un visto di tre. Alcuni dicono venti. Se mi metto a piangere davanti al console forse in una settimana me lo fa. Il problema è che è Venerdì. Posso applicare Lunedì, il 4. Così da ottenere il visto il 14 e non avere il tempo fisico di arrivare al confine, e quindi essere deportato, tornare in Kyrgyzstan e ricominciare tutto da capo, oppure volare. C’è la possibilità però di raccogliere il visto proprio al confine, così da tagliare i tempi. Ma sarà vero? C’è da presentarsi alla dogana con un numero scritto su un pezzo di carta, dettato per telefono, che dovrebbe corrispondere al codice che gli ufficiali turkmeni hanno ricevuto per e-mail e che corrisponde a un visto che mi dovrebbero dare. Ma se non c’è? Se viene perso? Se mi stampano fuori dall’Uzbekistan e non mi fanno entrare in Turkmenistan quanto rimango nella terra di nessuno? Non si sa.

Quindi sono qui, a Tashkent, ad Agosto, incastrato in una situazione non proprio ideale e capisco un po’ di più perché la gente va in Sardegna invece che andare in Turkmenistan. Posso aspettare lunedì e fare richiesta per questo visto sperando che arrivi in una settimana al massimo e sperando che arrivi al confine, superato il quale, avendo perso così tanto tempo, non avrò quasi il tempo di scendere dall’autobus fino all’Italia, sempre che, appunto, non venga deportato. Oppure potrei arrendermi e buttare via l’idea del tornare via terra e comprare un volo, tagliando i tempi e quindi riuscendo a vedere qualcosa lungo la strada. Il problema è che un volo per l’Iran che un aereo compirebbe in un’ora da qui ci mette diciassette ore, perché non esistono tratte dirette. E costa quasi 400 euro. Oppure potrei provare a chiedere il visto per l’Azerbaijan, salire in Kazakhstan e prendere la nave sul Mar Caspio, ma la nave nessuno sa quando parte, e il visto nessuno sa quando arriva, potrei trovarmi nella stessa situazione. Non c’è soluzione diretta. Potrei sempre concludere qui, tornare a casa, che è sempre la cosa più facile e rimane una carta valida. Ma renderebbe diciotto mesi di viaggio incompleti.