Il Mercato dell’Esperienza Umana

L’idea di partenza è molto, molto buona. È ottima. Condividere i beni sottoutilizzati che possediamo con gli altri, in cambio di una piccola, o meno piccola, tassa. È la fondazione di quella sharing economy di cui si parla tanto ultimamente e che sembra essere alla radice di così tanti progetti di successo degli ultimi anni. Alla rete si deve tutto: grazie ad internet si possono oggi mettere in contatto privati senza intermediari e, sempre grazie ad internet, si tagliano tutti quei costi di gestione che renderebbero la transazione difficoltosa a chi vorrebbe sfruttare questa opportunità solo occasionalmente.

Airbnb forse non sarà stato il pioniere di questo sistema, ma sicuramente è il primo esempio che viene in mente, con le sue 800.000 opzioni di alloggio in 192 paesi nel mondo. Trovare un letto oggi non significa più cercare un hotel, è la piattaforma stessa che unisce persone con interessi comuni e permette di pernottare in una casa o una stanza libera, spesso ad un costo più conveniente di una branda in ostello. E se non è di dormire che si ha bisogno, servizi simili per i trasporti, da BlaBlaCar a UBER, funzionano nello stesso modo. Grazie ad internet possiamo vendere educazione ed informazioni senza passare da una scuola di mattoni, possiamo raccogliere fondi per una giusta causa senza passare da una fondazione, finanziare un progetto trovando soci con una visione simile e perfino affittare il nostro bagno ad un passante in una situazione di emergenza. Se ciò che non ci serve più potevamo venderlo su eBay, oggi, ciò che ci serve solo in parte, possiamo noleggiarlo nel tempo che resta. Il “consumo collaborativo” è una rivoluzione sotto molti punti di vista. Certo, il fatto che ci sia un risparmio economico da parte dell’utente ha determinato il suo successo, ma la sua sostenibilità ambientale non è da sottovalutare. Che si tratti di benzina, riscaldamento, infrastrutture o tempo, ridurre l’uso delle risorse materiali, condividendo, sul lungo termine fa del bene a tutti.

L’intoppo arriva quando l’oggetto di scambio cede di essere materiale. Visto il grande sviluppo delle prime, grandi, piattaforme, è normale che qualcuno abbia cercato di sfruttare la scia tentando di tappare i buchi che mancavano. E con questo è arrivato chi ha cercato di mettere in vendita qualcosa che un prezzo, fino ad ora, non lo aveva: l’esperienza. Su siti come Eatwith o With Locals (che si concentra sul continente asiatico), ad esempio, c’è la possibilità di “provare un autentico assaggio di cultura locale, cenando con una famiglia locale nella loro casa“, si può acquistare una “indimenticabile esperienza culinaria thai” a 22.50 € oppure un “benvenuto nel Salento” a 41 $. Su Meal Sharing si può avere un “assaggio di cucina giapponese casalinga” per 38 $ a Chicago, su Tripbod, recentemente comprato da TripAdvisor, si può trovare un contatto con qualsiasi tipo di guida locale e così via. Tra gli annunci si trova anche chi vende un prodotto vero e proprio, come un corso di cucina o un escursione in bicicletta, ma questi siti, di base, si propongono di connettere viaggiatori e gente del posto per permettere ai primi di intraprendere un’esperienza unica, autentica e personale. Ma cosa rende un’esperienza umana autentica?

Personalmente, non ho mai utilizzato questi siti e il mio dubbio è genuino, non critico. Penso ai miei mesi in Asia e ricordo cosa rendeva speciale un pasto offerto da un persona del luogo, conosciuta per caso: la sorpresa, la spontaneità, la generosità. Era sorprendente essere invitato in casa da uno sconosciuto, perché nel mio paese non succede. Era affascinante poter entrare temporaneamente nella vita di qualcuno, senza che questo fosse preparato. Era eccezionale scoprire l’unica motivazione dietro ad un’azione simile fosse la compagnia, l’ospitalità o la voglia di regalare il proprio tempo ad uno straniero. Che si trattasse di un invito a pranzo, un passaggio in autostop, un pomeriggio perso per mostrare la propria città, cioè che acquistava valore era sempre e solo l’interazione umana. Il cibo, i soldi risparmiati nei trasporti, le attrazioni meno conosciute, diventavano secondarie, a rimanere impresso era sempre il gesto. Se avessi prenotato una cena in casa di una famiglia, pagato in anticipo con carta di credito, dato loro modo di preparare il tutto per far sì che il piatto sia all’altezza del suo costo così da poi ricevere una recensione positiva, sarebbe stato lo stesso? Non credo. Forse un’esperienza piacevole, sicuramente non spontanea. E piacevole, come sappiamo, è anche una cena al ristorante.

Couchsurfing insegna: se ciò che abbiamo da offrire è un’ospitalità genuina, allora non è possibile calcolarne il prezzo, altrimenti diventa automaticamente qualcosa di diverso. Quando entrano in ballo i soldi, cominciano a crescere aspettative, speranze e previsioni, e questi sono limiti che di fatto rendono tutta l’esperienza limitata. Purtroppo, seppur l’intenzione di queste piattaforme sia buona, rimango prevenuto nell’usarle perché mi appare tutto coperto da un patina di fintezza. Finché si tratta di risparmiare su uno stesso oggetto che fino ad oggi era più caro non c’è neanche da pensarci, ma qui ho l’impressione che la direzione sia una in cui né l’oggetto, né il prezzo, siano stati azzeccati. Forse dipende dal tipo di turismo che si sceglie di fare, forse dal tempo che ci si concede per viaggiare, forse è solo un’opportunità di fare “qualcosa di diverso” per chi è riuscito nell’impresa di fare delle proprie vacanze qualcosa di ordinario, ma a me, sembra di ridursi tutto nel comprare nuove, temporanee, amicizie. Le chiameranno anche start-up, ma, a pensarci, suona come il lavoro più antico del mondo.