Ansia da (pre)Stazione

Nonostante tutto, a me vivere a Londra piaceva. Tante delle cose che avevo finito per apprezzare erano quelle a cui chi espatria, almeno inizialmente, fa più fatica ad abituarsi. La frenesia cittadina regalava un anonimato in cui mi trovavo proprio bene e scendere le scale di quel formicaio che è la metropolitana ogni mattina mi ricordava il mio posto nel mondo. Uno tra milioni. Nessuno tra milioni.

Incontrare una faccia conosciuta, in metro, era un evento eccezionale. Improbabile anche quando si vive sulla stessa linea e si va e torna dal lavoro agli stessi orari. Perché sulle undici linee che si intrecciano fra duecentosettanta stazioni passano, negli orari di punta, un treno ogni quarantacinque secondi o poco più, per trecentosessantaquattro giorni l’anno. E ogni treno ha decine di carrozze, ed ogni carrozza centinaia di persone contratte, che si lasciano trasportare gomito a gomito, sempre, ovunque. Quasi un miliardo e mezzo di vite che viaggiano ogni anno, verso est, verso ovest, verso sud e verso nord. Vite che si intersecano ma che si lasciano scorrere sperando di arrivare a destinazione senza mai capitare di fronte a colui che abbia contemplato lo scambiare due parole. Sguardi bassi, cuffie sulle orecchie, Candy Crush alla mano. Al riparo da ogni conversazione. Anche questo di Londra mi piaceva. In fondo non avevamo granché da dirci.

Beep, beep, beep. Le Oyster battevano sui cancelli automatici. Ritmo costante.

Dicevano che la District fosse la meno affidabile tra tutte le linee. Eppure a me sembrava funzionare bene anche quella, mi portava sempre più o meno in orario più o meno vicino a dove fossi diretto. E se per caso un incidente, un suicida o qualsiasi altro ostacolo bloccasse temporaneamente una linea questo non valeva neanche come scusa, perché ogni linea ha il suo account Twitter. Trasport for London ha ventuno account Twitter diversi, uno per ogni servizio gestito, che producono centinaia di tweet al giorno in cui raccontano quando il traffico procede regolarmente, quando il ritardo è leggero e quando è opportuno pensare ad un piano B perché altrimenti si farà tardi.

Tweet! Tweet! Tweet! Transport for London mi allertava per ogni evenienza, mi rassicurava quando andava tutto bene, mi chiedeva scusa quando le cose non erano andate come previsto. Transport for London, un po’, era mia amica.

Un’ordinata colonna di esseri umani si formava sulle scale mobili. Mantenersi sulla destra, diceva un cartello. E sulla destra ci si manteneva. La corsia di sinistra veniva sempre lasciata libera per tutti coloro che avessero da raggiungere il numero di passi quotidiano sul FitBit. Poi arrivavi giù e un corridoio umano si formava di fronte alle porte del treno. Lasciar uscire prima di poter entrare.

Standard! Standard! Standard! gridavano persone sventolando giornali all’ingresso delle stazioni centrali.

Giornali neanche così male, per essere gratuiti, con un sacco di pagine e un sacco di parole. Nel mio tragitto di ritorno, dal centro alla zona due, potevo scegliere al massimo due articoli quando avevo voglia di leggere e c’era abbastanza spazio per aprire il giornale. Non sempre questo accadeva e nell’indecisione, comunque, lo tenevo chiuso perché a Londra è più importante non essere fastidiosi che essere informati. Lo trovavo molto giusto, anche questo.

A me non ha mai dato noia sentirmi un automa, un ingranaggio in questa macchina così grande. Rispettare le regole della convivenza sembrava andare a vantaggio mio e sì, vivere a Londra era un gioco di compromessi, ma così era stato ovunque e qui non sembrava un compromesso così malvagio. Se proprio mi trovassi ad aver bisogno di una dose di anarchia, poi, bastava prendere la bicicletta.

A darmi ansia, più che i tentativi di ordine nel caos, era il timore di non essere all’altezza di questo sistema. Il posto prioritario nella tube mi terrorizzava. Nel capire la gerarchia di persone a cui cedere il posto seguivo la segnaletica: Riservato a persone disabili, in gravidanza o in difficoltà a stare in piedi. Ma non era per niente facile. Quanto incinta deve essere una donna incinta per prendere il posto di un anziano molto anziano? E quanto anziano deve essere un anziano per poter essere considerato anziano senza che si offenda (ad esser considerato anziano)? Ero certo di non essere l’unico a coltivare queste preoccupazioni, ma questo non aiutava a rallentare il grondare di sudore ogni volta che il fischio delle porte accoglieva nuovi passeggeri. Avevo pensato ad un’equazione per calmare la tensione:

Mesi di gravidanza = Priorità ⇒ Età dell’Anziano < (Età della Morte Probabile – 9 Mesi)

Certo, mi si potrebbe dire che la soluzione più semplice è cedere il posto a chiunque indistintamente ed essere tranquilli. Non potrei pensare ad un errore più grave. In Inghilterra la correttezza politica è la religione di stato, ma conoscerne i limiti richiede decenni di esperienza. Che io, non avevo. Se mi alzo per far sedere una donna incinta e poi è solo grassa? Se faccio sedere una donna grassa sapendo che è grassa facendo scoprire a lei che è grassa perché prima non lo sapeva? E se mi alzo per far sedere una donna qualsiasi per gentilezza e poi è femminista e si arrabbia perché la sto facendo sedere solo perché è una donna? E se mi alzo per far sedere un uomo invece di una donna sofferente in piedi dopo dodici ore di lavoro perché sono io ad essere femminista, presumendo che sia anche lei femminista e apprezzi il gesto? E se mi alzo per un’anziana che si è tinta i capelli per non sembrare anziana comunicando implicitamente che non ha funzionato? E se gli anziani che si sentono giovani sono più giovani dei giovani che si sentono vecchi?

Tu-Tun, tu-tun, tu-tun. Il posto prioritario mi faceva battere il cuore.

Quello che sarebbe potuto accadere su quel quadrato di moquette dal motivo sbiadito era ciò che mi avrebbe distinto tra l’essere inglese abbastanza e il non essere inglese abbastanza. Io volevo essere inglese abbastanza perché, in fondo, questa città se lo meritava. E così stavo in piedi, evitando un’ignobile prestazione fino all’arrivo alla prossima stazione.