Murmansk Città Estrema

E così la Russia deve aver vinto, penso incamminandomi verso il centro città dalla stazione. È sera, sono le dieci passate. Bandiere che sventolano, auto che sgommano, musiche provenienti da altoparlanti in transito che si sovrappongono, cestini dell’immondizia che traboccano di bottiglie. Ho prenotato un letto nell’ostello Prichal, ad un paio di chilometri di distanza. Attraverso Leninskaya e raggiungo, dirigendomi verso la zona del porto, un’area industriale fatta di fabbriche, gru, ciminiere e marciapiedi irregolari. Entro in una via senza sbocco e cammino fino alla fine: l’ostello Prichal è lì, tra le grandi navi ed il fumo grigio, rigetto degli stabilimenti.

L’ostello Prichal è anche una sauna, chiusa però durante i mesi estivi. Mi era stato detto che a Murmansk avrebbe fatto freddo, ma l’estate sembra essere arrivata anche qui, ci sono quasi venti gradi. Tra il giorno e la notte l’escursione termica è minima, principalmente perché qui la notte non esiste. Il sole a Murmansk non cala, almeno in questo periodo dell’anno. Esco a cercare qualcosa da mangiare che è mezzanotte e se non per qualche tifoso rimasto per strada a festeggiare la città è deserta. Serrande abbassate,  strade ampie e vuote. La normalità altrove, che diventa surreale qui, dove sembrano essere le quattro del pomeriggio. Una mezzanotte diversa, nuova per me che così in alto non sono mai stato.

Trovo solo due attività ancora aperte: un fioraio operativo, per qualche ragione, ventiquattr’ore su ventiquattro ed un McDonald’s. Un McDonald’s su Leninskaya. Non è un McDonald’s qualsiasi, però: una targa dorata ne indica le coordinate, questo è il ristorante della catena situato più a nord nel mondo. O almeno, questa è la scusa con cui giustifico il mio ingresso. Patatine e gelato. Sono un ribelle. A Murmansk non ci sono regole, l’Happy Meal non conosce storia o confini. Tre uomini si passano una lattina birra all’interno di una busta di carta, vengono a sedersi accanto a me. “Italianski” gli dico, “turista”, e allora uno si mette le mani nei capelli, dicendo qualcosa tipo “Un italianski a Murmanski?”. Si ride, poi le strette di mano cominciano a farsi troppo frequenti e troppo strette, mi alzo e me ne vado, che è pur sempre notte fonda in un universo parallelo.

In camera ci sono solo altre due persone. Fedor, un ventenne russo che sta per entrare in Norvegia per un progetto studentesco, e Collins, un nigeriano che di entrare di Norvegia non ha alcuna intenzione, ma che proprio per questo motivo è stato  fermato e trattenuto per ore dalla polizia. Non si vedono molti africani da queste parti, Collins potrebbe essere l’unico in città. All’arrivo la polizia lo stava aspettando proprio come era successo a me, con una differenza: alla sua storia non hanno creduto. Dopo essere stato trasportato in caserma sono cominciate le domande “Cosa ci fai qui? Stai tentando di passare il confine? Dove sei stato fin’ora?”. Murmansk è a poche ore di autobus dall’Europa e durante i Mondiali non è necessario un visto per entrare in Russia, basta il biglietto di una partita per poter ottenere venti giorni di permesso. Considerato anche il basso valore del Rublo, questa è una buona occasione per viaggiare per coloro che di norma hanno difficoltà ad ottenere i documenti necessari, a causa del loro passaporto. Collins è una di queste persone. È venuto in Russia per i Mondiali, ma anche per vedersi con la sua fidanzata, norvegese appunto. A Mosca si sono separati e non avendo altro da fare lui ha preso un treno ed è venuto a nord. In caserma hanno telefonato alla sua compagna per prima, poi a tutti gli hotel in cui la coppia ha alloggiato. Anche sul biglietto di ritorno per la Nigeria erano dubbiosi. Un nero, quassù, è un’anomalia. Non è solo la polizia a credere che ci sia qualcosa sotto, a Collins è bastato fare un giro in centro perché qualcuno lo fermasse chiedendo se avesse bisogno di un “passaggio”. “Sono solo un turista” ha dovuto chiarire.

I miei compagni di camerata ripartono la mattina successiva. Rimango solo io al Prichal. Le attrazioni di Murmansk di diramano tutte, più o meno, dal viale principale, dedicato a Lenin. Poco distante dalla stazione c’è la prima nave rompighiaccio potenziata ad energia atomica del mondo, un monumento sovietico del 1957 che prende il nome di Lenin. In una delle piazze centrali c’è una statua, di Lenin anche quella. Poi, poco più avanti c’è un memoriale ai caduti di guerra, con una placca di Lenin. Salendo in collina si trova il simbolo di Murmansk: la scultura del soldato Alyosha che dall’alto sorveglia il porto della città. Alyosha è la versione sovietica del Cristo Redentore di Rio: una statua di cemento alta  trentacinque metri rappresentante un militare armato, dedicata a chi ha difeso la Russia durante la Seconda Guerra Mondiale. Per raggiungere la cima del colle ci vuole circa un’ora a piedi, durante la quale si passa un altro memoriale di guerra, dove, se se ne sentisse la mancanza, si trova un’altra raffigurazione di Lenin comprensiva di falce e martello. Infine, c’è il McDonald’s, che ricordiamolo, è quello più a nord del pianeta.

Il centro di Murmansk è in una valle circondata da colline verdi d’estate e bianche d’inverno da cui si ergono centinaia di palazzi grigi, tutti identici. Centri commerciali offrono rifugio durante i lunghi inverni e gli hotel a cinque stelle sono aperti per ospitare chi arriva a fare affari. La natura qui, almeno quella che ho visto arrivando in treno, è splendida ed intatta, ma difficilmente accessibile senza un mezzo a disposizione ed una guida alla regione. La città appare racchiusa in un anello di cemento, le imponenti case popolari, di chi, per lavorare, si è trasferito fino a questo angolo sperduto del Circolo Polare Artico. Sotto ai palazzi grandi lettere rosse formano il nome della città. Murmansk come Hollywood.

Di sera incontro John, un altro viaggiatore appena arrivato. È ghanese e come Collins è appena stato rilasciato dalla polizia. John non è molto di buon umore: questa è la prima volta che lascia l’Africa e per poter vedere una partita dei Mondiali in Russia ha risparmiato un anno intero. Ad Accra John fa l’insegnante d’inglese ad ha deciso di approfittare dell’opportunità di viaggiare senza visto non appena  ha scoperto che questo era possibile. È ingenuo in modo un po’ tragico. Annoiato di Mosca ha deciso di venire a vedere Murmansk pensando bastassero cinque o sei ore di treno, ne sono servite trentatré; i cinque minuti di taxi per raggiungere l’ostello gli sono costati quindici euro, più del doppio dell’ostello stesso; ha prenotato cinque giorni a Murmansk, dove è difficile tenersi impegnati per più di qualche ora. Al contempo è intimorito, “Hai visto altri neri in giro?” mi chiede, “C’era un ragazzo ieri, ma se n’è andato” gli rispondo. “E tu invece, quando te ne vai?” vuole sapere, “Domani”, “Rimango solo”, “Eh, si”. Usciamo. Ha gli occhi addosso. Non deve essere facile viaggiare così. Mi chiedo se nei giorni successivi John sia mai uscito da quella camera.

Più in su di così non si va. Riparto, con un altro treno notturno in direzione Petrozavodks, e poi Mosca. Comincia così la discesa verso l’Iran.