La Tipografia Segreta di Stalin a Tbilisi

Ero già stato in Georgia un anno fa, ma ero contento di rientrarvi durante questo viaggio verso sud, sia per vedere la zona di Kazbegi, appena sotto il confine russo, che per passare un po’ di tempo a Tbilisi, di cui mi era rimasto un ottimo ricordo.  Nella capitale mi sono fermato cinque giorni, giorni lenti dedicati a ricaricare le batterie e scoprire i dettagli nascosti che questa città offre all’interno dei suoi cortili, nelle vie strette che si snodano tra case cadenti e nei bar che si aprono sulla strada. Durante l’ultimo di questi giorni, prima di proseguire in direzione Azerbaigian, stavo cercando di un modo per impiegare il pomeriggio che non riguardasse formaggio fuso e burro a fette (elementi di principale interesse durante entrambe le mie visite), quando, dopo qualche ricerca su internet, mi sono imbattuto in una serie di commenti che parlavano di una vecchia tipografia sotterranea utilizzata da Stalin per stampare materiale di propaganda sovietica all’inizio del secolo scorso. Questa stanza si trova ad un paio di fermate di metro dal centro città, sotto quella che è oggi la sede del Partito Comunista Georgiano.

Avlabari è un quartiere residenziale costruito attorno a quel che sembrava essere una struttura ospedaliera, dove dopo aver superato la strada principale ho raggiunto una griglia di strade poco trafficate in cui officine e fruttivendoli  si alternano tra una casa e l’altra. Trovando un po’ di difficoltà nell’orientarmi ho cominciato a chiedere ai passanti “Stalin?” e tutti, nonostante l’ambiguità della domanda, sapevano esattamente di cosa stessi parlando. Tutti tranne uno che, semplicemente, ha risposto “Sì”. La sede del partito si trova dietro una porta su cui è dipinta a mano una segnaletica inconfondibile: una falce ed un martello. Busso, entro, ed un gruppo di signori seduti attorno ad un tavolo si gira e mi guarda, senza dire niente. “Ma c’è un museo qui?” gli chiedo, “Eh sì, c’è un museo”. E allora chiamano una signora e la signora arriva e mi fa  “Stalin?” e io gli dico “Eh sì, Stalin” e quindi mi fa segno di seguirla sottoterra, e io la seguo sottoterra.

La signora, membro del partito, parlava solo russo, ma la fortuna ha voluto che arrivasse un signore cinese accompagnato da una donna georgiana, che si è offerta di fare da traduttrice. “In questa casa, agli inizi del Novecento, vivevano due anziane signore. Stavano sedute qui tutto il giorno, lavorando a maglia e guardando fuori dalla finestra. Avevano solo un compito: premere questo pulsante una volta se qualcuno si stava avvicinando, premerlo due volte se il sospetto era infondato e premerlo tre volte se era il momento di fuggire”. Il messaggio veniva ricevuto da Stalin ed i suoi collaboratori, che tra il 1904 ed il 1906 stavano lavorando in una camera dieci metri sotto il pavimento della casa, producendo documenti in russo, georgiano e azero per promuovere i loro ideali rivoluzionari.

Calandosi attraverso il canale di un pozzo era possibile accedere ad una galleria che portava direttamente ad una piccola sala all’interno della quale si trovava la stampante tedesca utilizzata per la produzioni di giornali e manifesti. La stanza fu scoperta nel 1906, quando un agente di polizia gettò un pezzo di carta in fiamme nel pozzo, ma questo, in seguito ad un colpo di vento, finì nel tunnel che portava alla tipografia rivelando la struttura nascosta utilizzata dai comunisti.  Nel 1936 fu costruita una scala che permette oggi di accedere alla camera sotterranea. Al suo interno si trova ancora il macchinario, coperto di ruggine a causa di un allagamento. La stampante in attesa di restaurazione, che non può avvenire in quanto il museo opera in maniera non ufficiale e non riesce, di conseguenza, a trovare finanziatori.

“C’è un processo in corso,” spiega la nostra accompagnatrice “al momento non possiamo fare alcuna promozione, né sistemare questi spazi. Il governo ha già deciso di demolire questo edificio e costruire un hotel. Non gli stiamo molto simpatici. I turisti cominciano a venire, la voce si sta spargendo su internet. Speriamo che visto l’interesse storico, riusciremo a mantenere la tipografia in vita. Per adesso, sopravvive con le donazioni”.

Uscendo dall’abitazione sopra la tipografia, torniamo negli uffici del partito. Il presidente mi viene incontro, curioso di sapere cosa mi abbia portato fino a qui. “E della Georgia cosa ne pensi? Sai, noi con l’Italia abbiamo molti legami”. Parliamo un po’, ci scambiamo i contatti. Mi mostra il suo ufficio, tra bandiere rosse, vecchi articoli di giornale e ritratti di Lenin. “Puoi farti una foto se vuoi” mi sento dire. E così mi metto a sedere dietro la scrivania, alzo la cornetta del telefono, sperando che una chiamata alle armi non arrivi proprio in quel momento. La signora che ci ha accompagnato nel sotterraneo, ridendo da un angolo della stanza mi chiede “Comunista?” e io, colto un po’ di sorpresa, le rispondo con l’unica cosa che in russo so dire: “Ciut ciut”, un po’.