Attraverso la Russia Europea

Quando mi è stato chiesto, al ritorno dalla Russia, se la Russia io la consiglierei – e mi stato chiesto spesso, credo perché la Russia, per chi non l’ha vista, deve essere un luogo davvero difficile da immaginare – la mia risposta è stata “Mah, anche no”. Intendiamoci, io tornerei domani, ma tra andare e spingere altri ad andare c’è una bella differenza.

“Quindi tu la Russia la consigli?” mi viene chiesto, e l’unica cosa che vorrei dire è “Ma a te, il cemento piace? E da uno a dieci, quanto ti piace?”, anche se poi non lo dico, che messa in questo modo sembra che solo gli appassionati di cemento possano andare in Russia e non è proprio così, anche se un certo livello di entusiasmo verso il cemento, in particolare se grezzo, sicuramente aiuta a rendere tutta l’esperienza più gradevole. Tipo io, per fare un esempio concreto, non direi che il cemento mi elettrizza tanto quanto, che so, i pomodori secchi, però mi attrae comunque abbastanza da farmi uscire di casa e percorrere tre o quattromila chilometri per andare a vederlo da vicino. Ed essendo questo mio rapporto con il cemento un po’ ambiguo e complicato da spiegare, anche a me stesso dico, evito di andare nel dettaglio e mi esprimo con la presunzione che chiunque altro possa vivere bene anche facendo a meno di consumare soldi, tempo ed energie per andare a visitare una nazione che, per come me la ricordo io, è soprattutto edifici grigi e statue di Lenin.

È chiaro, e mi sembra quasi superfluo scriverlo per esteso, che la Russia abbia molto di più da offrire della sua architettura brutale. Ad esempio il lago Baikal, che tutti i russi con cui ho parlato, che saranno stati tre, mi dicevano “Ma perché vai a Volgograd che fa schifo, vai al lago Baikal” e io gli dicevo “Eh, avete ragione, ma per andare al lago Baikal devo farmi una settimana di treno per andare e una settimana di treno per tornare”, e quindi il lago Baikal, che si dice sia uno dei posti più belli di tutta la Russia, non l’ho visto. Ho viaggiato, invece, di città in città, partendo da San Pietroburgo per poi salire fino a Murmansk, nel Circolo Polare, e quindi cominciare la lenta dicesa verso sud.

Avevo deciso di dedicare quest’estate alla Russia dopo averci girato attorno per qualche anno, un po’ per indulgere nel mia curiosità sovietica e un po’ perché non sapevo se in futuro avrei avuto abbastanza tempo per attraversare questo paese così grande. Quando mi sono reso conto delle distanze che stavo per affrontare, che sulla mappa sembrano niente ma poi vai a comprare il biglietto di un treno e capisci che almeno una notte di viaggio è necessaria per qualsiasi spostamento, ho accettato il fatto che in un mese, il massimo concesso dal visto, della Russia avrei potuto vedere solo una piccola parte. Piuttosto che fare la Transiberiana, ho deciso di tagliare la Russia europea dall’alto verso il basso, sia perché non conoscevo nessuno che lo avesse fatto, sia perché in questo modo avrei potuto proseguire in una parte del Caucaso che non avevo mai visto, e quindi tornare in Iran.

All’inzio pensavo di salire a Murmansk con un volo interno di due ore, ma poi mi sono detto che sarebbe stato meglio risparmiare diciassette euro e fare venticinque ore di treno, considerando che la seconda missione che mi ero imposto per l’estate era finire I Fratelli Karamazov e non vi era metodo migliore che chiudersi in un vagone di metallo senza ricezione per un paio di giorni. A Murmansk mi doveva ospitare una ragazza su Couchsurfing, anche se poi, quando la ricezione è tornata, ho scoperto che le se era rotta la porta di casa e che avrei dovuto dormire altrove. “Son dovuta entrare dalla finestra,” mi aveva scritto Anastasia “i vicini mi guardano un po’ male. Forse è meglio che tu stia da un’altra parte”. Così ho finito per dormire in un ostello-sauna, ed è stato un po’ un bene, che all’arrivo alla stazione c’era la polizia ad aspettarmi e dicendo di essere ospitato da qualcuno che neanche conoscevo magari sarebbero andati ad indagare.

Da Murmansk ho raggiunto prima Petrozavodsk, poi Mosca. Avevo passato più ore in treno nell’arco di una settimana che in tutto l’anno precedente, e questo era solo l’inizio. A Mosca, inoltre, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima: me ne sono andato da un ostello che avevo pagato, perché non ho avuto il coraggio di dormirci. Nonostante credessi che a questo punto della mia vita i miei standard in fatto di comfort avessero raggiunto lo strato più sottile della dignità umana, mi sono dovuto ricredere entrando nella camerata del Loft Hostel, un luogo in cui avrebbero potuto filmare Trainspotting. L’ostello si trovava in una zona industriale a mezz’ora dal centro di Mosca. Entrando un lungo corridoio buio portava alla stanza numero sei, dove la maggior parte dei quattordici letti erano occupati da uomini russi di mezza età seminudi e semiaddormentati. Era l’una di pomeriggio ed il tavolo al centro della stanza era coperto di lattine di birra. Guardandomi intorno noto in uno dei letti un ragazzo magrissimo avvolto tra le coperte, intento a soffiarsi il naso con le lenzuola. Inzialmente lascio lo zaino ed esco a cercare qualcosa da mangiare, ma sulla strada inizio a pensare che forse posso anche buttare via quattro euro e lasciarmi ubriachi e probabili tossicodipendenti alle spalle.

Con un treno diretto a est sono arrivato alla capitale del Tatarstan, Kazan, famosa per la grande moschea bianca che spunta dalle mura del Cremlino. Fuori dal Cremlino, considerando che le temperature restano sotto lo zero in buona parte dell’anno, la città è piuttosto sterile. La vera bruttezza russa però, quella che in qualche modo andavo cercando, l’ho trovata una ventina di ore più avanti a Volgograd. La vecchia Stalingrado è una città di primati: si affaccia sul fiume più lungo d’Europa, il Volga, ospita la più alta statua d’Europa, che è anche (se escludiamo il piedistallo) la più alta statua di donna del mondo, che è anche la più alta statua non religiosa del mondo e possiede, se non bastasse, la più alta statua di Lenin del mondo (una cosa non da poco, vista la competizione). Per il resto è traffico, cemento e carriarmati posti a monumento. La Russia che ti aspetti, se proprio qualcosa vi fosse da aspettare.

Ho proseguito per la Calmucchia in un minibus, raggiungendo Elista in sette ore di viaggio. Elista sarebbe una città del tutto anonima, se non fosse che qui vive la più grande comunità buddhista d’Europa. A causa di una migrazione avvenuta più o meno quattrocento anni fa, i calmucchi, un’etnia discendente dai mongoli, hanno messo le radici in questa città decorandola con stupa dorate, ruote della preghiera e bandiere arcobaleno. Elista è una cittadina isolata e scomoda da raggiungere. C’è una stazione dei treni, ma pochi treni vi si fermano. Ci sono le marshukte che tagliano la steppa su strade dritte, arrivano, si fermano, e ripartono. Non vale la pena andare fino a Elista, non è una città che ha molto da offrire. Eppure, Elista è uno di quei luoghi che mi ha ricordato perché percorro lunghe distanze via terra: per capitare in posti in cui altrimenti mai andrei.

Il mio itinerario russo si è concluso a Vladikavkaz, da dove sono entrato in Georgia. Ero incerto se fermarmi o meno nel Caucaso, considerate le notizie poco incoraggianti che arrivano da questa zona del mondo ed alla fine, con pochi giorni di visto rimasti e un po’ di timore addosso, ho deciso di raggiungere il confine senza fermarmi, viaggiando su un autobus notturno. Mi sono pentito immediatamente dopo di non aver fatto qualche tappa nella regione: alla stazione di Vladikavkaz una coppia di viaggiatori confermava che attorno al Monte Elbrus era tutto tranquillo, mentre i russi parlavano di Grozny come una nuova Dubai, controllata giorno e notte nella speranza che resusciti.