Stalin - Il Minotauro e la Cipolla

Raccontare Stalin: intervista a Guido Carpi e Virginia Pili

Nella sesta puntata di Cemento abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con Virginia Pili e Guido Carpi che, insieme a Pilade Cantini, sono autori del libro Stalin, il Minotauro e la Cipolla.

Come ci si confronta con una figura ingombrante come quella di Stalin? E come si costruisce una narrazione che renda giustizia alla realtà, alla storia? Abbiamo provato a capirlo con i due specialisti di storia e letteratura russa, parlando di come è nata la biografia da poco pubblicata per Clichy Edizioni e di come si affronti un progetto di questo genere.

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Stalin - Il Minotauro e la Cipolla
Pagina dal libro “Stalin – Il Minotauro e la Cipolla” di Pilade Cantini, Guido Carpi e Virginia Pili.

Angelo: Per cominciare, su Stalin è già stato scritto di tutto, da dove viene il bisogno di un altro libro su questa figura?

Guido: Questo progetto è nato per tutta una serie di motivi di ordine diverso. Innanzitutto, è stata un’idea del nostro amico Pilade Cantini che non è uno specialista di storia russa sovietica. Si occupa di tutt’altro. È un cultore di folclore popolare. Siamo amici da tanto tempo, lui era in contatto con questa casa editrice e la linea editoriale di questa collana c’è subito piaciuta. Pubblicano biografie di tutti i tipi, persino di Marilyn Monroe, e strutturano i loro libri mettendo prima dei cenni biografici e poi una sezione atipica che parla del personaggio da un punto di vista un po’ particolare, ecco. Della prima parte si è occupata Virginia, la seconda parte l’ho fatta io in forma di intervista fattami dall’amico Pilade. Questo è un motivo. Ci piaceva proprio come tipo di format, di progetto. 

Un secondo ordine di motivazione è che tutti e tre, io, Pilade e Virginia, siamo comunisti e riteniamo che proprio noi che cerchiamo in tutti i modi di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza dei settant’anni di Unione Sovietica, del movimento comunista internazionale, abbiamo il dovere di non tacere sugli aspetti più bui, gli aspetti più controversi di quest’epoca. Anzi, dobbiamo contribuire a fare chiarezza sul perché sono avvenuti, sulle motivazioni storiche oggettive che hanno portato a determinate tragedie di questo movimento, nel quale, per altro, in toto ci riconosciamo. Naturalmente motivazioni che non possono essere ridotte alla personalità del singolo Josif Stalin.

A: La forma del libro è molto interessante. C’è un’introduzione biografica e poi c’è questa conversazione, appunto, dalla quale spuntano anche molti piccoli dettagli di cui non si sente parlare così spesso.

G: Certo. Io naturalmente ho cercato di valorizzare degli aspetti che fossero meno noti a un pubblico italiano, anche di persone che magari si erano già interessate a questo argomento. Sono 20 anni, forse anche di più, che studio queste cose, con tutta la bibliografia originale in russo, quindi di cose che al pubblico italiano non sono note ne conosco abbastanza. Virginia è più giovane però anche lei, da studiosa di Trotsky quale è, ha una visione un po’ più approfondita, più diversificata di quella che in genere è disponibile a un lettore medio.

Virginia: Sì, parlando di come affrontare questa figura così difficile anche per persone come noi che si riconoscono in quel determinato progetto, Stalin si presenta sempre un po’ come il famoso Minotauro del titolo, ma anche come una specie di monolite che sbarra il cammino.

Basandosi semplicemente su una sua psicologia, seguendo le varie teorie che esistono su una sua possibile forma di paranoia, si rimane molto in superficie. Quindi anche nella biografia ho cercato di rappresentare Stalin in tanti volti, scegliendo tanti nomi diversi per il personaggio, proprio per evitare di rimanere su questa specie di monolite difficile da approfondire.

G: Sulla paranoia: lui all’inizio, da giovane, non era affatto paranoico. Era un baldo giovane, un bandito da strada, un bandolero che svaligiava anche per dare i soldi al partito. Era una persona, anzi, con una grande gioia di vivere, molto spumeggiante. Poi, alla fine, con una vita come la sua, l’esercizio di un potere assoluto e dispotico per decenni su un paese così grande, era diventato sicuramente un uomo con aspetti di devianza psichica.

Eleonora: Infatti, abbiamo già citato il minotauro che compare nel titolo. Invece la cipolla che cosa significa?

G: Il minotauro, come abbiamo detto, è questa figura che sta al centro, all’incrocio di tutti i cammini di tutti coloro che si considerano a vario titolo afferenti a questa tradizione, che si dicono o si sono detti comunisti. 

In qualche modo, tu, prima o poi, con Stalin ci devi fare i conti. Questa figura che sta nel centro di questa sala, della sala del labirinto appunto. Un Minotauro, una persona duplice, un essere duplice, un diabolico miscuglio di bene e di male, di slancio verso il futuro. La costruzione di una società nuova ma anche la regressione agli stati più arcaici della psicologia popolare.

La “cipolla” semplicemente perché è un enigma. Stalin, lo stalinismo: tu ne sfogli uno strato solo per trovarne un altro. Vai sempre più verso un centro che non sei sicuro di trovare mai.

A: Una delle parti più interessanti del libro riguarda il paragone che viene fatto spesso tra Stalin e Hitler, tra i morti di Stalin e l’Olocausto. Questa è una cosa di cui si sente parlare abbastanza, ma c’è un approccio completamente diverso, almeno da quello che leggo io, tra i due personaggi.

G: Dico solo una cosa poi dopo passo la parola subito a Virginia. Sono due figure che vivono nello stesso periodo, ci sono degli aspetti sicuramente paragonabili, così come coi campi di concentramento coloniali inglesi, francesi, italiani, belgi.

C’è però una differenza sostanziale, secondo me: Auschwitz serve a uno scopo folle, quello della purezza razziale, ma lo persegue in modo estremamente logico, razionale, metodico; lo stalinismo, il gulag, sono finalizzati a uno scopo che, in quel contesto, aveva anche degli elementi di razionalità, ossia farla finita con l’onda lunga della guerra civile, ma lo ha perseguito in modo folle, barbarico, andando a colpire in modo indiscriminato tutti quei settori della popolazione che, per un motivo o per l’altro, potevano essere potenzialmente considerati non fedeli al regime. È come se, sospettando che in un palazzo si nasconda un assassino, tu decida di far saltare in aria l’intero palazzo con tutti quelli che ci stanno dentro. 

V: Sì, uno rimane sempre stupefatto, come ha detto Guido, pensando al paragone di colpire un palazzo pensando che ci si nasconda un assassino. Sono cose che avvenivano, basate spesso su percentuali che dovevano essere rispettate a tutti i costi, partendo dall’obiettivo di dover riportare un ordine. C’era sempre un qualche tipo di nemico, il famoso nemico della guerra civile che si nasconde, che cambia sempre faccia, un giorno è il bianco, un giorno è il sabotatore, un giorno è il trotzkista, un giorno è la spia straniera. Il desiderio di schiacciare questi nemici, in realtà, porta al risultato opposto. Laddove si voleva controllare, si disorganizza ulteriormente.

G: E l’astio aumenta…

V: Sì…

G: Chiaramente, perché tu accumuli nemici in questo modo, colpendo all’impazzata.Una società che divora sé stessa., Lo stalinismo è l’ideologia della guerra civile permanente, da questo punto di vista. Poi, ha fatto anche tante altre cose.

Statua di Stalin a Gori, Georgia
L’ultima statua di Stalin in Georgia, vicino alla sua casa natale nella cittadina di Gori.

E: Invece in Russia che opinione hanno?

G: Qui bisogna vedere, perché ci sono molti fattori. Dipende da che famiglia vieni. Se la tua famiglia è stata colpita, chiaramente la tua memoria familiare ne risente. A livello di discorso pubblico, diciamo che il putinismo è un’ideologia molto eclettica che mette dentro tutto quello che le può servire. Cerca di creare una sorta di identità fittizia, un po’ ricostruita in una narrazione collettiva. Quindi, ci può stare lo Zar, ci può stare il patriarca della chiesa ortodossa, questo clericalismo ossessivo, ci può stare l’anti americanismo, ma ci può stare anche Stalin, come condottiero che ha vinto la seconda guerra mondiale e ha rifondato l’impero. 

Perché in realtà, poi, la Russia come narrazione collettiva, come autocoscienza statale nazionale di oggi, viene sostanzialmente dal secondo dopoguerra. Quindi è Stalin il vero fondatore, anche della Russia attuale. Non a caso, l’unico momento storico che manca nella narrazione collettiva che, diciamo, il putinismo un po’ si dà, è la Rivoluzione d’Ottobre perché la Rivoluzione è il momento divisivo per eccellenza. Il putinismo vuole il popolo russo  sempre unito, sempre monolitico. Infatti, Stalin viene recuperato come condottiero vincitore, vittorioso ma Lenin assolutamente no. Lenin è una sorta di grande rimosso, per quanto dorma, continua a dormire sulla piazza Rossa.

A: Sì, infatti nell’introduzione a questa puntata, parlavamo di Gori e della casa di Stalin che sono diventati un po’ un luogo di pellegrinaggio. Come vi ponete voi di fronte all’idea del “Ha fatto anche cose buone” che ho sentito dire spesso nei miei viaggi verso Est, così come in Italia.

G: Certamente. Diciamo una cosa, dunque, se lo dice un russo, i russi della loro storia, della loro memoria hanno il diritto, uno per uno, di dire quello che credono e io non voglio metterci bocca. 

Secondo me, il paragone con Mussolini, come quando da noi dicono “Ha fatto cose buone” non regge, perché Mussolini semplicemente ha applicato una sua dittatura personale su uno Stato che già esisteva con una notevole continuità. Quindi ha fatto numerose cose, voglio dire, anche un orologio fermo ogni giorno segna due volte l’ora giusta, qualcosa di buono avrà fatto.

Stalin ha preso una mappa informe di un buco nero di statalità scomparsa nel fuoco della guerra civile e ha forgiato uno Stato completamente nuovo. Quindi, parlare di cose singole che ha fatto, parlare di cose buone, cose cattive…

A: Non ha senso.

G: Secondo me non ha molto senso. Ha creato una civilizzazione, che tra l’altro è un termine che non uso io in chiave apologetica: così si intitola un classico sulla storia sociale dello stalinismo di Stephen Kotkin, “Magnetic Mountain” degli anni ’90, col sottotitolo “Stalinismo come civilizzazione”.

V: Ovviamente la storia di Stalin è una storia su cui i russi si possono esprimere, soprattutto quando si tratta della questione del “ha fatto anche cose buone”. Anch’io nutro una certa diffidenza per certe dinamiche che a volte si creano – non a volte, sovente – in Italia, dove si persegue ancora una sorta di culto di Stalin che diventa a volte anche difficile da spiegare ai russi.

Per fare un esempio, mi è capitato di tornare, un paio di settimane fa, da un viaggio in Russia. Chiacchieravo con delle persone con cui avevo fatto amicizia durante il viaggio di ritorno, quando mi hanno chiesto come si interpreti l’esperienza sovietica in Italia. Spiegare questa permanenza del culto di Stalin e il modo in cui Stalin viene visto nella nostra storia, mi ha messo comunque un po’ in difficoltà. Ci si ritrova ad approcciare alla storia di un altro popolo e cercare di spiegare come viene interpretata da noi, diventa veramente difficile e diventa anche una cosa, possiamo dire, un po’ complicata.

G: Io volevo aggiungere una cosa. Una cosa buona, mi sento di dire, sicuramente l’ha fatta: ha vinto il nazismo. È un fatto che la macchina bellica tedesca sia stata sconfitta durante le battaglie di Stalingrado, quindi Kursk. Se non ci fosse stata l’epopea di liberazione che l’Armata Rossa ha compiuto partendo da Stalingrado arrivando fino a Berlino, noi oggi parleremmo tedesco, oppure non parleremmo affatto perché non saremmo mai nati o i nostri nonni sarebbero stati ammazzati. I cancelli di Auschwitz, checché ne pensi Benigni, i cancelli di Auschwitz li hanno aperti i sovietici. Questa è stata una cosa buona che non c’entra con il Gulag. Questo non lava assolutamente crimini che sono stati compiuti precedentemente, e anche dopo, chiaramente.

Stalin - Il minotauro e la cipolla

E: Questi sono aspetti che non emergono, di solito, nella narrazione che se ne fa in Italia e invece hanno un ruolo preponderante nel vostro libro. Volevo anche chiedervi come è cambiato negli anni il modo in cui si parla di Stalin e se questo ha avuto un impatto sul vostro lavoro di scrivere il libro, cioè se vi siete confrontati anche con fonti diverse e modi di approcciare, proprio, anche linguistici la vicenda di Stalin.

G: Noi abbiamo cercato di parlare di Stalin in modo obiettivo per quanto ciò sia possibile, il che non significa mascherare le proprie opinioni. Io ho cominciato dicendo “Noi siamo comunisti e riteniamo, proprio per questo, di essere i primi a dover cercare di spiegare cos’è successo davvero”. Attualmente c’è una moda, tra l’altro, a far uscire dei libercoli rozzamente apologetici nei confronti di Stalin e io sono il primo che si incazza su queste cose, perché io cerco di rivalutare le cose buone che ci sono state in Unione Sovietica, poi arriva uno che non è neanche del mestiere, con roba totalmente di seconda mano, glorifica i Gulag, nega i crimini di… Insomma, voglio dire, è chiaro che poi sputtana anche me in questo modo.

Comunque, a parte questo che, secondo me, è assolutamente da condannare. Io penso di fare un servizio anche per coloro che a quei tempi hanno sofferto studiando queste cose e cercando di dare risposte al perché questo è successo. Non è stata una tragedia insensata, folle e barbarica. C’erano delle ragioni storiche profonde. Per quanto riguarda il modo, se è cambiato o no il modo di approcciarsi a Stalin, chiaramente sì, perché man mano che l’Unione Sovietica si allontana nel passato come esperienza storica, man mano che scompaiono le generazioni che hanno vissuto quei momenti, è chiaro che sta diventando una cosa che può essere studiata, rispetto a prima, in modo storiograficamente molto più distaccato, più scientifico. Cosa che sarebbe stata impossibile ancora negli anni ’80, perché ancora c’era il furore ideologico. Oggi sono stati aperti tantissimi archivi. È chiaro che anche buona storia dello stalinismo, dell’Unione Sovietica, di biografie di Stalin che sono state scritte fino a tutti gli anni ’80, oggi sono inevitabilmente obsolete, perché c’è una quantità di materiale mostruoso da leggere, da studiare.

A: Sempre parlando del modo in cui si racconta la storia di Stalin…

Guido: Scusate, posso interrompere un attimo? Volevo dire: questo non vale solo per Stalin, questo che ho detto sul modo diverso di considerare le cose. Prendiamo, per esempio, Virginia, che studia Trotsky. Lei è in Russia, tutti i giorni va in archivio, cosa che 15 anni fa le sarebbe stati negata. Anzi, sarebbe stata spedita fuori dall’Unione Sovietica solo per aver chiesto di entrare in quegli archivi a leggere i documenti originali. È chiaro che cambia completamente l’approccio nei confronti di questi personaggi. Per parlare di Trotsky trent’anni fa avrebbe dovuto leggere quello che Trotsky scriveva di sé stesso.

A: Quindi possiamo aspettarci una serie di storie nuove che emergeranno nei prossimi anni?

G: Stanno già emergendo. Ci sono, naturalmente, soprattutto in lingua russa, ma c’è tantissima produzione scientifica da questo punto di vista.

V: Diciamo che diventa anche difficile orientarsi, proprio per la quantità di materiali, di storie nuove, e anche per il fatto che questi archivi sono stati aperti, ma anche ciò che non è disponibile continua a permanere, diciamo, in profondità. Tutti i materiali che esistevano nei registri degli archivi e ora sono spariti, così come i fondi di persone che dovevano per forza avere un proprio archivio privato ma sono scomparsi, rimangono solo dei frammenti. 

Si tratta comunque di un’immensa massa di materiali che bisogna filtrare per poter costruire una biografia di Stalin. Anche solo per fare un discorso su Stalin che abbia un equilibrio, perché è anche sempre un po’ un camminare sul filo fra i sostenitori acerrimi, accaniti di Stalin, i negazionisti del Gulag e quelli che…

G: Quelli che dicono che era cattivo.

V: Quelli che dicono che era cattivo a prescindere, “Era cattivo, punto”. Senza un’analisi delle cause che abbiano potuto portare a determinate cose. Quindi il modo di affrontare Stalin è anche cambiato per questo dover sempre camminare sul filo.

A: Secondo voi esiste una specie di archetipo dittatoriale messo in piedi da Stalin? È possibile che questo culto della personalità, questo modo di governare sia stato portato avanti da altri? Penso ai paesi dell’Asia Centrale, ai personaggi successivi che hanno preso il potere in modo totale.

G: Io non penso che ci sia un’onda lunga di Stalin in senso stretto. Sono semplicemente paesi con una società civile molto fragile, contraddizioni democratiche, un’autonomia del ceto medio fragile se non inesistente, con una economia totalmente controllata da corporazioni di oligarchi e dallo Stato. È chiaro che in condizioni del genere, come fa a svilupparsi una dialettica democratica?

Già nella stessa Russia, che rispetto a questi paesi ha tradizioni non riducibili soltanto alla coercizione, alla autocrazia, allo stalinismo, l’innesco di una dialettica democratica è difficile e molto condizionato da tutta una serie di fattori. Quindi, figuriamoci in un posto tipo il Turkmenistan, ecco, giusto per fare un esempio. Io poi sottolineo che sono l’ultimo che può andare a dare ai turkmeni, o ai russi, o a chicchessia delle lezioni di democrazia, perché ognuno, poi, ha la propria strada.

Io penso che l’onda lunga di Stalin si veda proprio nel fatto che la fondazione dello Stato russo e l’autocoscienza nazionale dei russi, include la grande famiglia di popoli che abitano la Federazione. Una cosa, tra l’altro, sulla quale ci possono dare lezioni è come si convive tra confessioni, etnie, civiltà diverse. È una grande federazione di popoli.

Il modo in cui quella comunità percepisce sé stessa nasce nell’immediato secondo dopoguerra. Quindi, Stalin, da questo punto di vista, è davvero il fabbro, l’artefice di quella che, bene o male, ancora oggi è la federazione russa.

V: Io, a questo punto, vorrei citare – non so se Guido se lo ricorda, era uno dei nostri autisti di taxi a Mosca – un signore, peraltro georgiano, che riportandoci a casa ha fatto proprio questo tipo di discorso, riferendosi al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, dicendo “Stalin ha portato tutto il popolo sovietico, l’ha fatto vincere e nessuno, quando io ero piccolo ed ero sotto l’Unione Sovietica, nessuno mi insultava perché era georgiano, mentre invece ora chiunque si sente in diritto di venire da me, guardami in faccia e insultarmi”.

G: Sì, purtroppo questa è una cosa che vale adesso, anche adesso nel conflitto russo – ucraino. Io veramente, questo lo voglio dire, penso che la grande tragedia in quell’area, una tragedia che si trascinerà a lungo, per decenni, e  spero che prima o poi possa essere riassorbita, è l’odio che è nato tra questi due popoli che sono sempre stati storicamente fratelli.

E adesso, purtroppo, il cinico gioco che entrambi i regimi, entrambi i sistemi politici hanno fatto per auto accreditarsi il potere sull’immagine di un nemico costruito apposta, fa sì che russi e ucraini si odino. È una cosa terribile, una cosa terribile che non c’era mai stata prima.

Stalin con la figlia Satàna

E: Andiamo verso la conclusione. Riguardo quello che ci accingiamo a fare nel resto della puntata, cioè raccontare un po’ di aneddoti, se vogliamo anche divertenti, dei dittatori post-sovietici dell’Asia Centrale, volevamo chiedervi se è un problema, e perché è un problema, scherzare su personaggi che hanno causato, non solo sofferenza ma repressione politica ingiustificabile e che sono la causa di tanto male che ancora succede in questi paesi.

G: Io credo che raccontare aneddoti su personaggi storici, se è fatto con la giusta sensibilità, non sia affatto irrisorio e non possa offendere nessuno. Semplicemente è un modo per gettare luce anche su una dimensione privata di personaggi che comunque avevano una loro posizione pubblica. Ci interessa sicuramente sapere anche chi erano magari nel privato e in questo non c’è niente di ironico, di sarcastico, o che possa sminuire.

Sul Stalin io potrei citare una cosa che nel libro non c’è. Stalin era un grande cinefilo, aveva una sua sala personale di cinema dove si faceva proiettare le cose che uscivano negli Stati Uniti e che il pubblico sovietico spesso non vedeva. I suoi due film preferiti ci fanno anche capire che immagine aveva di sé stesso. Lui non pensava di essere cattivo. Chiaramente aveva un’immagine di sé molto diversa da quella che noi abbiamo di lui e i suoi eroi cinematografici ci possono aiutare anche a capire in chi si immedesimava.

A lui piaceva molto “Il vagabondo” impersonato dal giovane Charlie Chaplin in questo film di inizio anni ’20. Stalin diceva “Ecco, io ero così. Ero come questo personaggio qua. Ero un poveraccio, ero uno sfigato”, di buon cuore però, perché il vagabondo aiuta la fioraia cieca. E poi, l’altro film di cui era grande fan, era “Onde Rosse” di John Ford. Gli piaceva molto la figura del bandito, ma dal cuore d’oro,  impersonato John Wayne.

Cosa può legare il bandito John Wayne col vagabondo tenero Charlie Chaplin? Sono due outsider, disprezzati da tutti che però aiutano i deboli, ognuno a modo suo. Lui vedeva sé stesso così, come un ex poveraccio, un ex disgraziato, un ex outsider. Era stato un bandito, da giovane, per il partito probabilmente, ma lo era stato, ha fatto delle rapine. Era stato un vagabondo che però ha dedicato la sua vita ad aiutare la povera gente. Lui vedeva sé stesso così.

V: Raccontare degli aneddoti, soprattutto se aprono un aspetto diverso del personaggio, aiutano anche a capirlo come uomo e allontanarsi dalle letture troppo chiuse su sé stesse. Guido ha citato i due film preferiti di Stalin che sono molto indicativi della sua mentalità, io avrei voluto mettere tutto nella biografia. Avevo trovato un sacco di cose, mi sono dovuta un attimo trattenere. Ci tenevo molto a inserire il romanzo preferito del giovane Stalin (Il parricida di Aleksandr Kazbeki, 1882, ndr), da cui lui prende il primo pseudonimo Koba, proprio perché anche quello mi sembra molto rappresentativo della sua personalità. Fondamentalmente, è una storia di vendetta.

Nel libro, Koba è un giovane georgiano che agisce un po’ sullo sfondo. Vendica il protagonista, suo migliore amico, e la sua amata uccidendo chi ha provocato la loro morte, aspettando, fra l’altro, diversi anni e preparando la vendetta con tutta una serie di particolari. Quindi, nel momento della formazione della sua personalità, coincide anche quest’idea dell’eroe buono che si vendica dei nemici, con calma, preparando dei piani.

G: Io pensavo che gli avresti raccontato che per pulire i piatti li faceva leccare al cane.

A: Potrete raccontarci anche quello a questo punto…

V: Sì, è la versione “Stalin pessimo coinquilino”, perché, appunto, quando il suo coinquilino in esilio gli chiedeva di  lavare i piatti, lui li faceva leccare al cane. Peraltro, simpaticissimo, aveva chiamato il cane Jasha, proprio come il compagno che era in esilio con lui, Yakov Sverdlov.

G: Tra l’altro, per quanto riguarda la formazione di Stalin, una cosa importante è il folclore che lui ha ascoltato da bambino. Lui, da parte di padre, non era georgiano, era osseto. Gli osseti sono un popolo delle montagne con una tradizione guerresca, considerati dai georgiani, che invece hanno un’antica e raffinata civiltà, proprio i barbari delle montagne.

Gli osseti hanno un epos molto violento, ricco anche, molto bello, si chiama l’Epos dei Narti, che è stato tradotto in italiano per Adelphi (Il Libro degli Eroi, 1969, ndr). È un epos ricco di tradimenti, sortilegi, violenza, addirittura una presenza del cannibalismo che non ha eguali in nessun altro folclore europeo. E, sicuramente, questo ha avuto una forte influenza sul piccolo Josif Dzugasvili quando era quel piccolo. Tra l’altro è presente in questo epos un fabbro divino. Quello degli osseti era un popolo entrato da poco nell’età del ferro, quindi, troviamo anche il culto del ferro, da cui naturalmente poi lui trae il suo il suo soprannome Uomo d’Acciaio, Stalin. 

Oppure, ancora, la regina Satàna, che è uno dei personaggi principali, una maga potentissima, molto cattiva, molto crudele in questo epos. Stalin chiamava sua figlia Svetlana Satàna, in onore di questa eroina. Quindi, questo epos sicuramente ha avuto su di lui un’influenza molto forte. Noi leggevamo Pinocchio, e lui ascoltava le storie sul cannibalismo.

Stalin - Il Minotauro e la Cipolla

Guido Carpi è professore ordinario di letteratura russa all’Università L’Orientale di Napoli. Virginia Pili è una ricercatrice di storia e cultura sovietica, specializzata in Trotsky. Il loro libro, Stalin – Il Minotauro e la Cipolla, è disponibile qui.

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